Margotta

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La margotta è una tecnica di moltiplicazione agamica delle piante utilizzata in alternativa alla talea e consiste nel far radicare un ramo ancora collegato alla pianta madre.

Indice

Margotta

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[modifica] Tipologie

[modifica] Margotta aerea

Impiegata su piante tropicali e ornamentali. Si ottiene avvolgendo con una tela contenente terra un ramo e legando il sacco alle 2 estremità. La parte di ramo a contatto con la terra emette radici avventizie, quando le radici sono ben sviluppate il ramo viene tagliato al di sotto del legaccio inferiore, terra e telo vengono rimossi e viene trapiantata.

[modifica] Margotta di ceppaia

Usata per produrre portainnesti di fruttiferi, è la tecnica più efficiente dal punto di vista del rapporto tra la quantità materiale prodotto e i costi di produzione (spazio e manodopera). Le piante madri vengono disposte a file (40-50 cm sulla fila) e dopo un anno, prima della ripresa vegetativa, vengono capitozzate all'altezza del colletto: questo stimola l'emissione di numerosi germogli che, raggiunti i 15-20 cm di lunghezza, vengono ricoperti alla base con terra in modo da stimolare l'emissione di radici avventizie. A fine stagione si ottengono così delle barbatelle pronte da espiantare. L'operazione si può ripetere più volte nel tempo: una margotta di ceppaia ben tenuta può durare anche 15-20 anni.

[modifica] Margotta ad archetto

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Propaggine.
Chiamata anche propaggine semplice, è usata per piante ornamentali (es. vite americana) e per alcuni fruttiferi. Si origina piegando un giovane ramo di una pianta fino ad interrarlo per poi rivolgerlo verso l'alto sorretto da un paletto. La parte sotterranea emette radici avventizie e quella aerea nuovi germogli formando una nuova piantina. A radicazione avvenuta il ramo di collegamento viene tagliato.

[modifica] Procedimento

Fasi di esecuzione di una margotta
La metodologia operativa classica è quella di incidere con un coltello ben affilato e pulito la corteccia asportando un anello di altezza più o meno uguale al diametro del ramo; tolta la corteccia, si sparge sulla parte scortecciata ormone radicante e lo si circonda con terriccio, sfagno, torba, o miscele tipo torba e perlite o torba e pomice. Il tutto va ricoperto da materiale plastico scuro, preferibilmente nero, per la conservazione dell'umidità necessaria e per far sì che avvenga la formazione delle radici (di tanto in tanto sarà bene idratare il terriccio con l'ausilio di una siringa). Dopo un tempo variabile (secondo le essenze), il cartoccio sarà pieno di radici, allora si potrà separare il ramo dalla pianta madre e porlo a dimora in vaso con terriccio adeguato.
Il periodo ideale per eseguire una margotta è maggio-giugno, periodo in cui le temperature sono sensibilmente aumentate; la temperatura, infatti, insieme all'umidità costante, e l'entrata in vegetazione della pianta sono i fattori principali per la buona riuscita di una margotta.

[modifica] Piante utilizzabili

Le varie specie rispondono in modo molto diverso alla tecnica. Tra le piante che radicano rapidamente e in una percentuale vicino al 100% abbiamo il melograno, i ficus, l'olivo. Al contrario, la maggior parte delle conifere, non radicano con questa tecnica se non in rari casi. La margotta si utilizza per avere piante di maggiori dimensioni di quelle riprodotte per talea, o piante da serra particolarmente rare e preziose. È una tecnica molto utilizzata in campo bonsaistico.

La propagazione per talea

La propagazione per talea

La talea è un metodo di propagazione molto utilizzato, poichè offre notevoli vantaggi: molte talee radicano con grande facilità, necessitando di pochi accorgimenti per la buona riuscita dell'operazione; da una singola pianta, anche piccola, si possono ottenere innumerevoli talee; in genere le piante ottenute per talea sono identiche alla pianta madre. Esistono diversi tipi di talea, che vanno prodotti in particolari periodi dell'anno; da ogni singola pianta si possono produrre talee di tipo differente, anche se in genere ogni pianta mostra di radicare in modo più o meno rapido a seconda del tipo di talee che si è deciso di prelevare: ad esempio i gerani radicano molto facilmente per talea erbacea; le talee di rosa più consigliate sono quelle legnose o semilegnose; le begonie si propagano rapidamente per talea fogliare; e così via. Prima di prelevare talee è quindi bene informarsi sul tipo di talea che ci può garantire maggiori successi a seconda della pianta che vogliamo propagare.
Talee erbacee
Le talee erbacee si praticano a fine inverno o in primavera, prelevando una porzione apicale di ramo, oppure un piccolo rametto, cercando di conservare un "piede", ovvero una piccola parte della scorza del ramo a cui la tale era attaccata. In genere le talee erbacee sono molto indicate nel caso di piante erbacee, di piante perenni, o di piante vivaci, e anche per i piccoli arbusti; meno indicate nel caso di alberi o arbusti di grandi dimensioni, in questo caso infatti i giovani germogli hanno in genere poche sostanze nutritive immagazzinate nei loro tessuti e sono in grado di vivere per pochissimo tempo se separati dalla pianta madre, cosa che da poche chance di successo al taleaggio.
Talee semilegnose
Le talee semilegnose si praticano in estate, prelevando porzioni di ramo giovani, ma già parzialmente lignificate, talgiando appena al di sotto di un nodo; questo tipo di talee si prelevano da alberi e arbusti e possono essere apicali, ovvero comprendere la cima di un ramo, che va prontamente tagliata, per evitare un'eccessivo sviluppo in altezza della talea; oppure talee semilegnose di fusto, che cioè comprendono una porzione di ramo che conta alcuni nodi. Queste talee sono in genere lunghe 10-15 cm, se ne possono produrre alcune tagliando dalla pianta un singolo ramo, da dividere in seguito in porzioni; si interrano per alcuni centimetri, inserendo nel composto di radicazione almeno un nodo, punto da cui si svilupperanno le nuove radici. Prima di interrare la talea è bene asportare le foglie nella parte bassa, per almeno un terzo della lunghezza della talea.
Talee legnose
Le talee legnose si praticano in autunno o alla fine dell'inverno, prelevando porzioni di rami dell'anno precedente, quindi non da rami eccessivamente vecchi; le talee devono essere lunghe 10-15 cm, o poco più; è bene levare una piccola porzione di corteccia dalla parte bassa del rametto, per favorire la radicazione; in genere si levano le foglie nella parte bassa della talea, alle foglie restanti si asporta la metà esterna. Questo tipo di talea si pratica con le piante ad alto fusto o con alcuni arbusti.
Talee di foglia
Le talee di foglia si praticano in primavera o a fine estate; si possono prelevare talee di foglia con picciolo, come si fa con la Saint paulia, oppure porzioni di foglia, come nel caso della begonia, di cui si utilizzano piccole porzioni delle venature delle grandi foglie. In genere queste talee si praticano con piante dalle foglie succulente, scegliendo le foglie più sane, possibilmente tra quelle prodotte già da alcune settimane.

Ulteriori informazioni su: La talea - Tecniche

La cultura del castagno

La cultura del castagno


Coltura e cultura del castagno


PRESENTAZIONE

L’Italia è stato il primo paese in Europa, forse nel mondo, a produrre castagne (ha toccato e superato anche le 800.000 tonnellate annue) ed ora la sua entità non supera le 70.000 tonnellate! Il prodotto dei secoli passati, molto eterogeneo, era costituito per la maggior parte da castagne, spesso selvatiche, essenzialmente destinate all’essiccazione da cui ottenere “castagne bianche” e “farina dolce” per l’alimentazione umana. Dopo un lungo periodo di declino la castanicoltura ha ripreso interesse anche commerciale. Cresce la produzione di frutti pregiati in particolare dei “marroni”, da tutti riconosciuti i migliori in fatto di sapidità, salubrità, valore nutritivo e dietetico. Ma il castagno non produce solo frutti: produce pregevole legname; produce attività turistica, agrituristica e di ristorazione per tutto l’anno, tenuto conto della grande variabilità del paesaggio che si diversifica nel corso delle stagioni e delle possibilità di conservare i frutti, con moderne tecnologie, per tutto l’anno. L’attività di ricerca su questa specie, mai cessata, oggi è molto attiva e la convegnistica in cui dibattere i risultati ha assunto notevole interesse, anche sul piano internazionale. Nel nostro paese i convegni nazionali sul castagno hanno acquisito cadenza quadriennale: Spoleto (PG) 1993, Cison di Valmarino (TV) 1997, Marradi (FI) 2001, ed il quarto, probabilmente, si terrà nel 2005 ad Avellino. I produttori e le stesse amministrazioni pubbliche impegnate a sostenere questa ripresa devono oggi affrontare molti problemi. Per consentire la divulgazione delle innovazioni è necessario conoscere le acquisizioni scientifiche e tecniche su questa maestosa pianta e renderle note al mondo applicativo, affinchè siano attuate in tempi brevi.
Prof. Elvio Bellini
(Presidente generale della Società Orticola Italiana)
Nelle pagine che seguono vengono presentati in sintesi gli aspetti e le problematiche più importanti relative alla coltura e cultura del castagno.

ARGOMENTI

1. BIOLOGIA E GENETICA IN CASTANEA: RISULTATI DI INDAGINI RECENTI

Il genere Castanea, appartenente alla famiglia delle Fagaccae, ha un’importanza preminente per la produzione del frutto, numerose sono quindi le ricerche sulla filogenesi, sulla biologia e sul miglioramento genetico del castagno. Uno sforzo non indifferente di diversi gruppi di ricerca ha riguardato indagini filogenetiche e filogeografiche delle specie appartenenti a questo genere. Probabilmente il genere Castanea si è originato in Cina e successivamente si sono succeduti due eventi di migrazione intercontinentale, dall’Asia al Nord America e dal Medio Oriente all‘Europa. In particolare gli studi sulle popolazioni europee sottolineano l’importanza della regione Turchia come zona di origine del castagno europeo. Il castagneto riveste, oggi, un ruolo rilevante anche per gli aspetti paesaggistici e di conservazione dell’ambiente. Dopo un periodo di declino causato dagli effetti del cancro corticale e alle mutate condizioni socio-economiche, la coltura del castagno è da alcuni anni in fase di ripresa in tutto il mondo. Il germoplasma del genere Castanea è molto ricco ed essendo elevato il numero di caratteri agronomici di pregio presenti nelle diverse specie sono numerose le indagini relative alla descrizione e alla conservazione del germoplasma castanicolo. Queste indagini spaziano dallo studio della biodiversità mediante marcatori molecolari, alla raccolta dei dati finalizzati alla valorizzazione di cultivar locali, alla ricerca di nuovi ibridi mediante incrocio tra Castanea sativa e Castanea mollissima. L’importanza agronomica del castagno ha spinto anche alla ricerca di marcatori per la certificazione genetico-varietale. I maggiori obiettivi nelle ricerche sul castagno, sia per quanto riguarda la produzione del frutto del legno, sono la facilità di propagazione e la resistenza alle principali malattie (per es. patogeni fungini). Ai fini del miglioramento genetico sono risultate importanti le tecniche in vitro per lo screening precoce della resistenza ai patogeni fungini e per lo studio della rizogenesi. In questo settore rientrano le indagini sugli organi fiorali e quelle sull’effetto del polline sulla pezzatura del frutto. Lo sviluppo della ricerca genetica in castagno segna inoltre un importante traguardo nella costruzione della prima mappa genetica del castagno europeo. Sono infine da sottolineare gli sviluppi della moderna tecnologia del DNA ricombinante applicata allo studio della biologia molecolare del castagno che si è fin qui focalizzata sulle reazioni agli stress biotici e abiotici.

Coltivazione da seme: Misho

Questo metodo richiede molta pazienza e meticolosità, ma permette di ottenere alberi particolarmente apprezzati. Una cosa da chiarire è che
non esistono sementi speciali tratte da alberi nani adatti alla formazione di bonsai, ma pressoché tutti i bonsai possono essere ottenuti per
semi. Si possono utilizzare semi prelevati da altri bonsai, acquistati, o raccolti in autunno direttamente dagli alberi. Questi semi messi a
dimora daranno in un periodo che va da cinque a sette anni, degli alberelli che potranno iniziare ad essere educati a bonsai. Questo tipo di
coltivazione dà il piacere di godere fin dall’inizio dello sviluppo di piccoli alberi, con caratteristiche proprie, differenziandosi anche dalla
pianta madre. Alcune sementi possono essere seminate appena dopo la raccolta, poiché sono in grado di germinare subito. Altre devono
essere conservate in ambienti freschi prima di essere seminate. Certi semi possono germinare già in autunno, ma per conservare la capacità
germinativa devono, essere interrati per qualche giorno in sabbia umida. Altre sementi presentano un periodo di quiescenza. In tal caso, si
stratifica (si disponi in strati insieme a sabbia umida) in un ambiente fresco e protetto dal gelo. Dei semi appartenenti a questa categoria
fanno parte quelli dell’acero montano, dell’acero giapponese, del cotoneaster, del carpino, del biancospino, del ginepro ecc. Prima della
semina bisognerebbe tenere i semi in acqua per uno o due giorni, così che si ammorbidiscono, permettendo la germinazione d’avvenire più
facilmente. Altro trattamento è quello di fare un trattamento chimico ai semi con un fungicida, capace di proteggerli da malattie, come la
muffa. Vi sono due momenti favorevoli alla semina, primavera e fine dell’estate-inizio autunno. Non si semina mai insieme specie diverse,
poiché le condizioni d’umidità, temperatura e luce richieste sono differenti.
Per seminare è opportuno procurarsi un vasetto o semenzaio con fondo forato. Si riempie di terriccio formato dal 50 % di torba setacciata e
dal 50 % di sabbia o perlite setacciata. Si riempie solo per tre quarti, senza pressare troppo, in modo che aria e acqua possano circolare
fig.1. Si collocano i semi ben spaziati, fig.2-3 ricoprirli con altro terriccio, premere leggermente fig.4, e quindi bagnare. Ricoprire infine il
vasetto con un vetro e riporlo all’ombra e al riparo dal gelo. Appena compaiono i primi germogli, spostare leggermente il vetro, affinché
l’aria circoli e toglierlo alla comparsa delle prime foglie.
Trapianto del semenzale
In primavera al momento dell’estrazione del semenzale, fig.5 quando il fusticino si è irrobustito, noterete che ha sviluppato lunghe radici,
potate le radici allungate fig. 6 per favorire un maggior sviluppo di radici sottili alla base dello stelo. Trapiantate ciascun semenzale in un
vasetto di coltura, che sarà abituato gradualmente al sole. In questo vasetto di plastica con terriccio con forte drenaggio, (lo stesso del
semenzale) allargate a raggiera le radici, per favorire un sistema radicale radiale. In questo periodo bisogna prestare attenzione ad una
patologia (marciume) sostenuta dal terreno, causandone la morte. Si presenta in forma più grave in condizione di caldo umido e quando le
piantine sono poste a distanze ravvicinate. Sarebbe il caso di aggiungere all’acqua una volta la settimana, un fungicida (tipo Benlate).
Crescita
Dopo il primo anno fig. 7, la piantina deve crescere per numerosi anni senza restrizione, in modo che il tronco s’ispessisca e la radicazione
si sviluppi. Nella piantina di quattro anni fig.8, il tronco appare ancora sottile ma gli intervalli internodali sono molti ravvicinati. A questo
punto è necessario irrobustire il tronco, perciò si procederà al trapianto in un grosso vaso o in piena terra. Trascorsi altri anni, fig.9 con le
concimazioni e le annaffiature necessarie, l’albero ha sviluppato una ramificazione e un tronco robusti. I nuovi ricacci verticali sono stati
raccorciati ogni primavera, per infittire la chioma.


 


 


 






 


 


 


Semenzale

i semi delle piante delle zone non (sub)tropicali di solito hanno bisogno
di passare un certo periodo a temperature inferiori a circa 6 gradi centigradi
per germogliare... la lunghezza del periodo dipende dalla specie e
credo anche dalla varieta'...

in pratica il sistema + semplice e' mettere + semi di quelli che servono
in uno strato di sabbia tenendoli all'aperto da novembre-dicembre
controllandoli da febbraio-marzo in poi e metterli in vaso quando
cominciano a germogliare...

in alternativa semina direttamente + piante di quelle che ti servono
in vasetti pieni di terra abbastanza soffice alla fine dell'autunno
e poi tieni le piante migliori (a seconda della specie possono germogliare
dalla primavera fino alla fine dell'estate)
secondo la grandezza del seme puoi usare come vasetti contenitori dello
yogurt, bicchieri di plastica, ecc per poi travasare in un contenitore
+ adatto quando escono le prime foglie (ricorda di bucare i contenitori
sul fondo per non fare ristagnare l'acqua)

io raccolgo da anni pinoli e noci di piante riprodotte da me circa
20 anni fa con questo sistema...

questo autunno ho piantato kiwi e prunus mahaleb da usare come portainnesti
e melia azedarach per vedere se riesco a usarla come insetticida...

molte piante nascono anche spontaneamente... io ho oltre 100 piantine
di olivo nate spontaneamente e raccolte quando erano appena germogliate...
e sotto i miei pini ogni anno germoglia qualche pinolo che non posso
utilizzare perche' non ho lo spazio per mettere altri pini...

alcune piante come gli agrumi (ho un ottimo limone innestato su una
pianta nata da seme) non hanno bisogno del periodo di basse temperature
e possono essere seminate direttamente in primaveraSemenzale

per gli ulivi puoi anche provare con talee ricavate dai rami di potatura
piu' grandi (con almeno un paio di cm di diametro) che prendono abbastanza
facilmente senza bisogno di ormoni e temperatura e umidita' controllate
(taglia i rami in pezzi di 30-40 cm interrandoli quasi completamente
e tenendoli sempre umidi durante l'estate)


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Coltivare bonsai partendo da semenzali e talee

Posted by admin in dicembre 8th, 2008  
In questo post vediamo come produrre un bonsai da seme o talea, principalmente dobbiamo sapere che produrre le pianticelle o le talee è solo una piccola parte, anche se piuttosto importante, di tutto il procedimento bonsai.
Dopo tutto, pianticelle e talee costituiscono solo il materiale grezzo che dovrà essere trattato adeguatamente prima che lo si possa considerare un bonsai. La scelta iniziale riguarda le dimensioni del futuro bonsai e a questo proposito le caratteristiche del materiale disponibile sono determinanti nella scelta del programma da realizzare.
Talee o semenzali di 2 o3 anni sono ottimo materiale per fare piccoli bonsai: si tratta generalmente di alberetti alti dai 20 ai 25 cm., con un tronco di 10-15 mm. di diametro. La dimensione del tronco dipende dalla varietà e anche da come l’albero è stato coltivato. Il materiale che ha potuto crescere vigoroso all’aperto ha certamente un tronco più grosso di quello che viene coltivato in contenitori, tuttavia anche le piantine e le talee che sono state rinvasate in contenitori progressivamente più grandi possono raggiungere talvolta delle buone dimensioni. L’acero tridente, l’olmo cinese e la zelkova sono varietà particolarmente vigorose e se crescono libere nel terreno, con abbondanza di luce, fertilizzanti e acqua, possono ingrossare i tronchi fino a 5 cm. di diametro e raggiungere un’altezza di oltre 3 metri in quattro o cinque anni.

Le diverse tecniche per la formazione del bonsai
Molte persone si avvicinano al bonsai attraverso le invitanti confezioni di ‘semi per bonsai’ che contengono un pò di sementi e un piccolo vaso di terriccio.
Queste confezioni possono essere divertenti e, sempre che i semi siano vitali, una buona quantità di questi potrebbe germogliare e diventare discreto materiale bonsai.
Come già detto, però, riuscire a far germogliare i semi è solo un primo passo: gli alberetti dovranno essere educati adeguatamente e subire una impostazione, se si vuole che diventino dei veri bonsai.
Lasciati crescere senza alcun trattamento, sono destinati a diventare comune materiale di vivaio.
La maggior parte dei principianti non sa, troppo spesso, quali interventi compiere una volta che le piantine sono cresciute, il che porta a cocenti delusioni e spesso all’abbandono dell’hobby. Ciò è un vero peccato e si può facilmente evitare.
Ci sono due modi fondamentali per creare bonsai da piantine e talee. Il primo è un vecchissimo metodo che è stato praticato dai cinesi per secoli.
Esso è conosciuto come il metodo di ‘taglia
e lascia crescere’, ed è basato sulla tecnica di continuare a potare e cimare, finchè si ottiene la forma desiderata.
Il secondo metodo è stato sviluppato più recentemente e contempla l’uso di filo metallico per piegare l’albero nella forma voluta. Entrambi questi metodi sono descritti quì di seguito.
Il metodo ‘tagliare e lasciar crescere’
Le piantine prodotte da seme o da talee
radicate di recente devono poter crescere vigorosamente per i primi due anni, cosicchè il loro tronco si ingrossi.
Alcuni coltivatori di bonsai in Giappone esaminano meticolosamente le radici delle giovani piante, rimuovono il fittone e accorciano tutte le radici laterali troppo vigorose, perchè fin dall’inizio si sviluppi un buon apparato radicale disposto radialmente.
L’appassionato può anche comportarsi nello stesso modo, nonostante che durante questo stadio la cosa più importante sia assicurare un vigoroso sviluppo a tutta la pianta. Le giovani piante, tenute sia nella terra che in vasi da fiori, devono essere concimate abbondantemente durante due successive stagioni vegetative: coltivate correttamente possono crescere fino a 30-90 cm. a seconda della specie ( gli aceri, ad esempio, possono raggiungere il mezzo metro, mentre l’olmo cinese e la zelkova giungono anche a 90 cm ). L’intenzione, comunque, non è quella di farle crescere così alte; si tratta piuttosto di sviluppare dei soggetti di piccole dimensioni ma robusti, in modo che il diametro del tronco sia in proporzione con l’immagine finale del futuro bonsai.
L’età migliore per iniziare il trattamento è a circa due anni.
Se il soggetto è troppo giovane, può non essersi sviluppato abbastanza; se è troppo vecchio, il suo tronco può essere diventato troppo rigido per essere educato.
Quando la pianticella ha raggiunto le dimensioni desiderate, deve essere estratta dal terreno e collocata in un vaso da fiori o in una piccola seminiera.
Si possono mettere queste piantine da sole, appaiate o anche in gruppi da tre a cinque nello stesso contenitore.
La composizione del terriccio usato per queste giovani piantine non è molto importante ( basta che sia ben drenato ), visto che la fertilizzazione della pianta verrà realizzata in un secondo tempo, con l’uso di concimi.
Dopo il trapianto, lasciatele crescere liberamente per un anno, affinchè si sviluppino in altezza e soprattutto in diametro del tronco. Nella primavera dell’anno seguente riducetene a metà l’altezza, conservando solo 1 o 2 internodi della ramificazione della stagione corrente.
Dopo questa drastica potatura, l’albero dovrà poter crescere per un altro anno: svilupperà un nuovo apice e contemporaneamente alcuni nuovi rami laterali.
Nella primavera seguente ( cioè durante il quinto anno ) si ripete questo trattamento, asportando tutta la vegetazione della precedente stagione a eccezione di 2 o 3 internodi.
Gli eventuali rami laterali devono essere potati affinchè infittiscano la loro ramificazione.
A questo punto l’albero deve essere estratto dal terreno. Gli si potano parzialmente le radici e lo si rinvasa in un vaso da coltivazione o in una seminiera. Questo processo di tagliar via tutta la vegetazione corrente, eccetto 2 o 3 nodi, viene ripetuto ogni anno fino a che l’albero ha tra gli 8 e i 10 anni. E’ invece sufficente potare le radici ad anni alterni. Giunto a questo punto il giovane alberetto dovrebbe già avere una piacevole conicità e anche un buon diametro del tronco. Con tale metodo di trattamento si può ottenere del materiale per bonsai alto circa 30 – 40 cm. e con un tronco del diametro di 25 – 50 mm. Questo procedimento è forse lento e un pò tedioso, ma può essere il punto di partenza di bonsai ben formati e piacevoli.
Vi sono naturalmente sistemi più veloci per sviluppare degli alberi con il treonco molto più spesso. Tali metodi verranno spiegati in prossimi post. E’ comunque molto gratificante possedere un bonsai che è stato formato completamente con le proprie mani.
L’applicazione del filo
Come per il metodo precedente, conviene partire con del materiale di circa due anni. Le radici vengono accorciate al momento del trpianto in vasi da coltivazione o direttamente nel terreno. Il passo più importante, comunque, è l’applicazione del filo sul tronco, per incurvarlo dolcemente a forma di ‘esse’. Questa è un operazione fondamentale, poichè determina la sagoma finale dell’albero per il resto della sua vita di bonsai. Dopo che l’albero è stato educato col filo, può essere ripiantato nel terreno oppure in un grande vaso da fiori e lasciato crescere per i successivi due anni.
Durante questo periodo ( il terzo e il quarto anno di crescita ) gli unici interventi necessari consistono in una regolare cimatura, affinchè si formi una densa ramificazione, destinando tutta l’energia vegetativa allo sviluppo del tronco principale. Il risultato è un considerevole inspessimento del tronco; alla fine di questo periodo di due anni l’albero è tratto dal terreno e sottoposto alla potatura delle radici prima del rinvaso. Le radici vengono potate allo scopo di lasciarle tutte della stessa lunghezza e di farle diffondere radialmente. Non è ancora il momento di decidere quali rami laterali devono essere scelti per la struttura definitiva, poichè ciò verrà fatto in un tempo successivo. Lo scopo principale, in questo periodo iniziale di crescita, è di provocare la formazione di un certo numero di rami fitti lungo il tronco. Questo si ottiene con la continua cimatura delle loro estremità. Dopo i primi due anni di educazione il filo deve essere rimosso per evitare che segni troppo profondamente la corteccia. I rami troppo lunghi devono essere accorciati. Eliminando il germoglio apicale si stimola la formazione di germogli laterali. E così di seguito, cimando i germogli laterali, essi stessi produrranno ulteriore ramificazione, ottenendo in tal modo la formazione di una chioma densa e fitta di rametti.
Dopo il quarto anno l’albero viene rinvasato, previa potatura delle radici. Nel quinto e sesto annonon ci sono interventi da fare, se non la continua cimatura dei rami. Alla fine del sesto anno l’albero, dopo una riduzione dell’apparato radicale, potrà essere rinvasato in un vaso da coltivazione o addirittura in un vaso bonsai. E’ nel settimo anno che si sceglie quali rami costituiranno la struttura definitiva e a questo punto tutti i rami superflui verranno eliminati.
Continuando nella cimatura e nell’accorciamento dei rami rimasti, si avrà la formazione di una ramificazione compatta e, giunti all’ottavo anno, si otterrà un bonsai abbastanza verosimile.

Portinnesto

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Il portinnesto o portainnesto o soggetto o ipobionte è la parte inferiore di una pianta moltiplicata con la tecnica dell'innesto. Una pianta innestata è un albero, un arbusto o, meno frequentemente, una pianta erbacea, ottenuta dall'unione di due o più individui, detti bionti. Quello infer

Portinnesto

iore, il portinnesto, fornisce l'apparato radicale e una parte più o meno sviluppata dell'apparato caulinare, mentre quello superiore, la marza o nesto o gentile o epibionte, costituisce la chioma. Nelle piante bimembri il portinnesto è in diretta connessione con il nesto, mentre nelle piante trimembri i due bionti sono separati da un terzo, detto intermediario.

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Ruolo del portinnesto 

Il portinnesto ha la funzione di fornire alla pianta determinate proprietà in modo migliore di quanto lo possa fare il nesto da solo. Tali proprietà dipendono dagli scopi per cui si effettua l'innesto.
Quando l'innesto si esegue per scopi di propagazione, il portinnesto assolve ad una o più delle sequenti funzioni:
  • Precocità: le piante innestate entrano in produzione più precocemente rispetto ai semenzali [1].
  • Regolazione dello sviluppo e della produzione: il portinnesto può correggere il portamento della cultivar da cui è ottenuto il nesto, riducendone o aumentandone la vigoria. Agendo sul vigore vegetativo, il portinnesto influenzerà indirettamente la produttività della cultivar.
  • Adattamento a specifiche condizioni pedologiche: il portinnesto può fornire un migliore adattamento a condizioni pedologiche particolari, come gli eccessi o i difetti di umidità nel terreno, gli eccessi di calcare, il pH anomalo, ecc.
  • Adattamento a specifiche condizioni climatiche: il portinnesto può fornire una migliore resistenza a condizioni climatiche avverse (siccità, freddo).
  • Adattamento a specifiche condizioni biologiche: il portinnesto può fornire una maggiore resistenza ad avversità di natura biologica prevenendo gli attacchi da parte di specifici o generici parassiti o fitofagi (funghi, nematodi, insetti, ecc.).
In queste condizioni, che rientrano nell'ordinarietà, l'agricoltore sceglie la migliore combinazione per realizzare gli scopi previsti: la cultivar innestata risponde agli obiettivi produttivi che si sono prefissati, il portinnesto conferisce le particolari proprietà di adattamento, resistenza e regolazione indispensabili affinché la cultivar assolva nel modo migliore agli obiettivi produttivi.
In altre condizioni, determinate da contesti specifici, la scelta del portinnesto è forzata da una situazione preesistente. Ad esempio, il reinnesto utilizza sempre le piante preesistenti come portinnesti allo scopo di correggere scelte sbagliate (insuccesso della cultivar scelta, introduzione di un impollinatore) o riconvertire gli orientamenti produttivi (sostituzione di una cultivar obsoleta sotto l'aspetto tecnico o economico).
Va infine citata la scelta di portinnesti presenti nella vegetazione spontanea preesistente. Questa pratica, frequente in passato, aveva lo scopo di sfruttare economicamente la vegetazione spontanea e derivava da consuetudini dettate dalle tradizioni locali o, talvolta da specifiche disposizioni legislative:
  • Una consuetudine tradizionale diffusa in diverse regioni è l'uso popolare di innestare il pero sui perastri (Pyrus amigdaliformis e Pyrus pyraster) o sui biancospini (Crataegus monogyna) che vegetavano nelle siepi, nelle macchie, nei bordi delle strade, oppure quello di innestare l'olivo sugli olivastri.
  • Fra le disposizioni legislative si segnalano gli editti e le prammatiche del XVII secolo all'epoca della dominazione spagnola che, imponendo l'innesto degli olivastri ai proprietari dei fondi con relative sanzioni pecuniarie per gli inadempienti, diedero impulso alla nascita dell'olivicoltura in Sardegna [2].

Requisiti del portinnesto [modifica]

Affinché una specie o una varietà o altro tipo genetico possa essere impiegato come portinnesto, deve rispondere a specifici requisiti. Fra i principali si ricordano i seguenti:
  • deve possedere proprietà morfofunzionali desiderate tali da beneficiarne nella tecnica dell'innesto;
  • deve essere compatibile con la specie o la cultivar da innestare;
  • deve essere facilmente propagabile per seme (portinnesti franchi) o per via vegetativa (portinnesti clonali);
  • deve essere in ottimo stato sanitario, in particolare esente da virus;
  • deve avere una scarsa attitudine pollonifera.

Portinnesti franchi e clonali 

I portinnesti franchi o semenzali sono ottenuti da piante nate da seme. Si ricorre a questi portinnesti per alcune specie quando non sono richiesti particolari requisiti o uniformità. In generale conferiscono una spiccata vigoria e una maggiore resistenza alla siccità.
I portinnesti clonali sono ottenuti da piante madri propagate per via vegetativa (per talea, margotta, propaggine, ecc.). Le piante madri sono sempre selezioni genetiche di specie in purezza o ibridi interspecifici . Questi portinnesti sono usati per scopi mirati e conferiscono una notevole uniformità, pertanto sono generalmente preferiti nella frutticoltura intensiva.

Avversità frutteto

Avversità frutteto

Afidi (pidocchi delle piante)
Afidi (pidocchi delle piante)
Aleurodidi (mosca bianca)
Aleurodidi (mosca bianca)
Allupatura (gommosi degli agrumi)
Allupatura (gommosi degli agrumi)
Antonomo
Antonomo
Batteriosi
Batteriosi
Bolla
Bolla
Cancri rameali
Cancri rameali
Cicaline
Cicaline
Cimici
Cimici
Corineo
Corineo
Formiche
Formiche
Fumaggine
Fumaggine
Lepidotteri defogliatori
Lepidotteri defogliatori
Lepidotteri minatori
Lepidotteri minatori
Lepidotteri ricamatori
Lepidotteri ricamatori
Mal secco degli agrumi
Mal secco degli agrumi
Monilia (muffa a circoli)
Monilia (muffa a circoli)
Metcalfa (farfalla salterina)
Metcalfa (farfalla salterina)
Mosca dell’olivo
Mosca dell’olivo
Mosche degli agrumi
Mosche degli agrumi
Mosche dei frutti
Mosche dei frutti
Oidio (mal bianco)
Oidio (mal bianco)
Peronospora della vite
Peronospora della vite
Psille
Psille
Sclerotinia
Sclerotinia
Septoriosi
Septoriosi
Tentredini
Tentredini
Ticchiolatura (macchia nera)
Ticchiolatura (macchia nera)
Tingidi del pero
Tingidi del pero
Tripidi
Tripidi


Malattie

PIANTE COLPITE
MALATTIA
SINTOMI
PRODOTTI
lampone, ribes, noce, ciliegio, vite
antracnosi
macchie depresse sui frutti
carbannati tipo; Zineb, Maneb,
       
drupacee, soprattutto il pesco
mal della bolla
le foglie si coprono di bollosità rossastre
Ziram, TMTD; trattamenti invernali
       
drupacee, soprattutto pesco e ciliegio
impallinatura o vaiolatura
le foglie si coprono di macchie necrotiche e poi di piccoli fori
Thiram Ziram; in inverno con rame
       
tipicamente la vite, più raramente albicocco, melo e pero
peronospera
muffa bianca sulla pagina inferiore delle foglie, macchie come oleoseo sulla superiore
prodotti a base di rame o Zineb
       
tutte le piante da frutto
marciume a circoli
sui frutti si formano macchie scure con cerchi concentrici biancastri
prodotti a base di zolfo o di zolfo, Ditiocarbammati
       
tutti i fruttiferi soprattutto melo e vite
oidio
polvere biancastra sui giovani germogli che si accartocciano
prodotti a base di zolfo
       
susino, pero, lampone, ribes, albicocco
ruggine
macchie e pustole color ruggine
prodotti a base di rame; o Zineb, Ziram, Maneb
       
lampone, rovo, pero septoriosi macchie giallastre, poi necrotiche, che col tempo schiariscono; le foglie possono seccare e cadere trattamenti a base di rame
       
pero, melo, talvolta il pesco ticchiolatura macchie verde scuro sulle foglie; sui frutti compaiono macchie scure, la buccia si spacca e si indurisce; sui rami si manifestano necrosi ditiocarbammati; Mancozeb, Zineb, ecc.

Disinfezione dei tagli e delle ferite



             


Sono molti anni che si discute sulla problematica relativa ai tagli di varia natura che vengono eseguiti per varie ragioni (o senza ragione) sulle piante, situate nei parchi, giardini e nel verde territoriale.
Sono stati organizzati diversi incontri tendenti a chiarire l'argomento e prove dimostrative molto interessanti, in cui si sono forniti indirizzi tecnici - confortati dal risultato pratico - sulle tecniche di risanamento, di ripulitura, di aggiustamento, di contenimento vegetativo e perché no, diciamolo pure, anche di taglio corretto delle piante che necessitano in particolari momenti di interventi manutentivi di questo tipo.
Tutte queste operazioni rappresentano una lunga serie di traumi che vengono inferti alle piante, anche se in forma il più possibile contenuta e nella più corretta esecuzione.
Accanto a queste lesioni vi sono tutte quelle derivanti da cause di varia natura traumatica, legate all'attività dell'uomo (lavori di varia natura, uso di mezzi meccanici e motorizzati, scavi e riporti di terreno, potature generiche e non necessarie, ecc.) od all'azione degli agenti meteorici, quali vento, neve, grandine, fulmini, ecc.
Tutti questi traumi, provocano anche se bene eseguiti (tagli netti, senza sfilacciature, obliqui, nel rispetto del collare, di ridotte dimensioni), delle soluzioni di continuità a volte consistenti che rappresentano facili vie di penetrazione da parte di crittogame producenti carie del legno ma anche di altre malattie o di infestazioni di insetti. Pertanto, è necessario evitare una possibile ricezione delle fitopatie, effettuando tutti gli interventi ed adottando tutte le tecniche di disinfezione e ripulitura che la moderna fitoiatria ci mette a disposizione sia per quanto riguarda le attrezzature, sia per le superfici di taglio che con esse vengono realizzate.
Operazioni già ultimate, con tagli di risanamento e contemporaneo contenimento su siepe di lauro infetta da oidio, nella fase finale di stagione. Questi tagli non sono mai di elevate dimensioni (1° gruppo) e non dovrebbero preoccupare per il futuro.
Disinfezione e sterilizzazione delle attrezzature
Tutte le attrezzature che vengono usate per effettuare tagli, siano essi di rifilatura di ferite, di risanamento, di potatura, ecc., devono essere sterilizzate col fuoco o con acqua bollente, almeno prima dell'inizio delle operazioni.
Ciò dovrebbe essere ripetuto ad ogni cambio di pianta, mentre diventa tassativo se queste risultano affette da evidenti malattie e da affezioni di natura vascolare, trasmissibili ad altre piante attraverso la linfa e quindi mediante la successione dei tagli, tra esemplari sani ed ammalati.
L'operazione di sterilizzazione citata risulta di difficile applicazione, pertanto il metodo più corrente e più facilmente attuabile è la disinfezione con prodotti appositi, con i quali si spruzzano o si pennellano o nei quali si immergono le attrezzature (motoseghe, forbici, coltelli, seghetti, roncole, ecc.), facendo attenzione di interessare ogni loro parte od elemento. I prodotti usati per queste disinfezioni sono i sali quaternari di ammonio, l'ipoclorito di sodio o l'alcool ecc.
Taglio di dimensioni troppo elevate (3° gruppo) e eseguito in posizione aderente al fusto, quindi non corretta.
Grossa lesione alla base di un vecchio ippocastano. La ripulitura dal legno marcescente e deteriorato si presentava necessaria, ma non altrettanto le nuove e pur contenute lesioni sul legno sano, visibili nella parte alta.
Disinfezione dei tagli e delle ferite
Ultimate le operazioni di taglio, con le attrezzature disinfettate, occorre prendere in considerazione le lesioni che rimangono aperte sulle piante ferite. Queste lesioni possono essere di varia forma e di dimensioni più o meno elevate, pertanto ci si dovrà comportare nei loro confronti, in modo diverso da un caso all'altro.
La casistica ci propone infatti i seguenti gruppi di ferite, tra quelli riscontrabili sulle piante arboree ed arbustive: 1) Piccole ferite, a volte di numero consistente, prodotte su piccoli rami o rametti, soprattutto nel caso di taglio delle siepi, di eliminazione di parti sfiorite, di potature su arbusti da fiore, di raccolta fiori, di eliminazione di parti ammalate ecc. 2) Ferite un po' più grandi, prodotte su piccoli rami sani, per tagli di modeste dimensioni, su piante arboree od arbustive (massimo 5-8 cm di diametro). 3) Ferite prodotte su rami più grossi (oltre 5-8 cm di diametro) per tagli di più elevate dimensioni. 4) Ferite di natura meccanica (attrezzi, autoveicoli, vento, fulmini, ecc.). 5) Ferite di cui ai punti 3 e 4, già invecchiate e su cui si notano insediamenti cariosi a carico del legno, con tessuti in parte distrutti, pure in condizioni apparenti di discreta vitalità. 6) Ferite prodotte per il risanamento vegetativo, su branche anche grosse o rami ormai secchi a causa di malattie o di problemi di altra natura verificatisi nel tempo recente.
Tronco lesionato in più punti ed affetto da grosse carie, su cui è stata eseguita una slupatura troppo forte, oggi non più consigliabile.
Taglio di elevate dimensioni, eseguito direttamente sul fusto (non rispettando il collare). Anche se la superficie risulta ricoperta con varie qualità di mastici (prova), non presenta alcuna prospettiva futura.

Le ferite dei primi due gruppi citati risultano le sole tecnicamente ammissibili e giustificabili. Per esse non dovrebbero verificarsi problemi, anche in proiezione nel tempo, soprattutto se eseguite con attrezzatura disinfettata e subito dopo trattate per una generale disinfezione, con prodotti a base rameica, cercando di interessare tutte le superfici danneggiate dai tagli o lesionate da urti o da sbattimenti.
Per i tagli di dimensioni più elevate (5-8 cm) si dovrà curare che non vengano eseguiti in aderenza al legno più vecchio su cui i rami si trovano inseriti e di effettuare il taglio nel rispetto della zona del collare, con la giusta inclinazione rispetto all'asse verticale.
Le ferite descritte nel terzo gruppo non sono più accettabili alla luce delle attuali conoscenze. Esse vengono eseguite soltanto a causa di precedenti trascuratezze manutentive, di errate progettazioni degli impianti o di comportamenti operativi tecnicamente errati. E' proprio da questo tipo di ferite che prendono avvio i più importanti processi cariosi degenerativi, a carico del tessuto legnoso.
Infatti, queste ferite appaiono spesso di dimensioni troppo grandi e sono sempre difficoltose da proteggere. Anche le disinfezioni più accurate e/o le protezioni usuali con materiali ricoprenti e disinfettanti di ogni genere non garantiscono a lungo termine le piante dalle infezioni cariose che si possono ugualmente instaurare e procedere anche in forma consistente. Qualche raro risultato si può ottenere in questi casi con disinfezioni frequenti a base di anticrittogamici rameici o benzimidazolici, pur con notevoli difficoltà economico-operative, solo se i tagli di questo tipo sono pochi e localizzabili dall'operatore.
Si deve ottenere, nei primi mesi dopo i tagli, una copertura continua con i citati anticrittogamici (ogni 15-40 gg) al fine di impedire penetrazioni fungine e coadiuvare la naturale azione reattiva dei tessuti vegetali. I vari mastici in commercio devono essere abbandonati definitivamente.
Per le ferite del quarto gruppo, prodotte da cause meccaniche o atmosferiche, necessità vuole che venga eseguita una semplice ma rapida ricomposizione della lesione, con attrezzi disinfettati o sterilizzati (rifilature di slabbrature e lacerazioni, tagli netti e corretti, ecc.). Le superfici di taglio dovranno essere disinfettate e poi verificate nei tempi e con i prodotti citati per il trattamento relativo al gruppo precedente.
Fase finale di ristrutturazione di un viale, durante la quale sono stati lesionati sia i fusti che soprattutto gli apparati radicali. I danni sono in questi casi sempre irreversibili.
Con questo tipo di carie, evidenziata dal taglio della grossa branca, la pianta risulta compromessa irrimediabilmente a causa di tagli troppo grossi e male eseguiti parecchi anni prima.

Per quanto riguarda il quinto gruppo di ferite, si tratta quasi sempre di casi difficili rappresentati da grossi traumi o notevoli tagli malamente eseguiti nel passato e lasciati poi al loro destino. Oggi ci troviamo di fronte a ferite invecchiate, su cui si sono instaurati notevoli processi cariosi che in gran parte hanno già distrutto anche il legno della zona centrale.
Purtroppo questi casi sono frequentissimi, specie a carico di vecchie piante a volte anche di notevole pregio, compromesse dall'uomo o dal tempo durante i lunghi anni di presenza nell'ambiente.
Alcune piante molto vecchie hanno avuto il vantaggio di vegetare gli anni migliori in periodi meno difficili di quelli attuali, soprattutto dal punto di vista ambientale, e sono riuscite a crescere robuste e a crearsi un habitat particolare, quasi sempre favorevole, che ne ha agevolato lo sviluppo e le ha messe in condizione di massima resistenza alle avversità di ogni genere, via via crescenti. Ora, queste piante vivono in gran parte con le riserve da tempo accumulate e sono in grado, o quanto meno lo sono state, di superare molte avversità. Infatti, notiamo che molte di esse sono state in grado di bloccare i danni, creando barriere interne o superficiali di protezione della parte sana, a volte anche di notevole entità, quindi in grado di frenare o anche di bloccare la penetrazione o la diffusione dei vari patogeni, soprattutto quelli producenti carie del legno. Ecco perché molte ferite si sono circoscritte e molte malattie non sono risultate pregiudizievoli anche nei lunghi anni trascorsi.
Le piante che invece presentano queste categorie di ferite, sono molte, sistemate in ambienti inadatti, con le riserve energetiche quasi esaurite e forse meno capaci di compiere le reazioni sopra citate. La loro cura diventa ancora più difficile e può essere orientata sulla correzione delle vecchie ferite, sulla loro pulizia e sull'allontanamento del materiale degradato senza produrre nuove lesioni che andrebbero a distruggere le barriere di difesa, prodotte dai meccanismi naturali ed in qualche modo ancora presenti ed efficaci. Dette operazioni di risanamento dovranno essere poco profonde, non penetranti nei tessuti che dovranno rimanere a contatto con l'aria ed essere interessati da frequenti e periodiche disinfezioni con i prodotti già citati per le precedenti categorie di ferite (soprattutto rame).Si dovranno quindi alleggerire le chiome, spesso ancora molto espanse rispetto alle diminuite capacità meccaniche dei fusti. Pur con tutti gli interventi e le precauzioni citate, le piante con ferite di questa categoria sono da considerarsi irrecuperabili, con gravi problemi di stabilità, tanto che non vale la pena di insistere troppo nel tentativo di poco probabili recuperi, a costi e rischi molto elevati, specialmente nel caso di esemplari di non elevato pregio qualitativo, storico od ambientale.
Infine, per l'ultima categoria di ferite (6° gruppo elencato), riguardante i tagli eseguiti per il risanamento vegetativo di esemplari con parti disseccate o affetti da malattie o da intestazioni d'insetti o da traumi di varia natura verificatisi in tempi recenti e che non hanno spezzato il ramo, è indispensabile una buona rapidità di esecuzione che deve sempre essere netta e completa, dopo aver eseguito un celere riconoscimento della causa debilitante. In questa categoria di tagli, rientrano in prevalenza tutti gli interventi meccanici di risanamento che rappresentano vere e proprie pratiche di natura fitosanitaria. Per i casi specifici, non si dovrà lesinare sulle quantità di legno asportate e nemmeno sulle dimensioni delle superfici di taglio che dovranno essere comunque abbondanti e superare di qualche tratto il punto più avanzato di diffusione della malattia, nel caso di manifestazioni patologiche circoscrivibili, mentre nel caso di malattie di natura vascolare facilmente diffusibili, l'intervento dovrà in molte circostanze interessare anche interi esemplari che dopo il taglio dovranno essere rapidamente distrutti col fuoco.
Anche per questa categoria, le operazioni di taglio dovranno essere eseguite con macchinari sterilizzati o disinfettati come in precedenza descritto, mentre le necessarie disinfezioni delle singole superfici di taglio o delle piante intere nei casi di maggiore diffusione degli interventi, dovranno essere eseguite con prodotti a base rameica o con principi attivi benzimidazolici, razionalmente distribuiti.