Il Kaki


Il Kaki
Il diospiro, detto anche loto, diospero, kaki, e italianizzato in caco o cachi, è una pianta da frutto di origine cino - giapponese.
È originario della zona meridionale della Cina. Detto Mela d'Oriente fu definito anche Albero delle sette virtù:
1) lunga vita (possono vivere anche un secolo)
2) grande ombra
3) assenza di nidi fra i suoi rami
4) inattaccabilità del suo legno da parte dei tarli
5) possibilità di giocare con le sue foglie indurite dal ghiaccio
6) un caldo fuoco sviluppato col suo legno
7) grande ricchezza in sostanze concimanti per il terreno dove è coltivato. 

Dalla Cina si è esteso nei paesi limitrofi e ha trovato larga diffusione nel vicino Giappone.
Le prime notizie di questa specie risalgono ai Greci.
Il nome Kaki compare in Giappone alla fine dello scorso millennio
Intorno alla metà del 1800 viene diffuso in America e Europa. I primi impianti specializzati in Italia sono sorti nel Salernitano a partire dal 1916, estendendosi poi in particolare in Emilia. In Italia la produzione si è stabilizzata intorno ai 650.000 quintali, la coltura è sporadicamente diffusa su tutto il territorio nazionale, ma riveste una certa importanza economica solo in Emilia e Campania con produzioni rispettive di 220000 quintali e 350000 quintali.
Questo particolare frutto ha un'importanza particolare anche in Sicilia dove è famosissimo e più diffuso il kaki di Misilmeri esportato e conosciuto in tutto il mondo.
In tutto il Nord Italia è normale vedere accanto alla casa agricola una bella pianta di kaki c he si riconosce subito da novembre in poi, per la perdita delle foglie con una grande quantità di palline (kaki) appesi come un albero di Natale.
Meravigliose sono le sue foglie sempre in questo periodo, per i variegati e bellissimi colori che acquistano prima di cadere a terra.

Botanicamente il genere Diospyros appartiene alla famiglia delle Ebenacee, che comprende circa 300 specie tutte di origine asiatica subtropicale.
Per la coltivazione rivestono importanza solo alcune:
D. kaki, coltivato per la produzione di frutti per il consumo fresco;
D. lotus e D. virginiana usati come portainnesti e nell'industria di trasformazione;
D. oleifera e D. glaucifolia che sono usati per l'estrazione di tannino.

Gli alberi di D. kaki sono monocauli, a foglia caduca, piuttosto sviluppati, con corteccia grigio-scura e rugosa, chioma folta. Le foglie sono grandi, ovali allargate, glabre e lucenti. Nelle forme allevate per il frutto si riscontrano solo fiori femminili essendo gli stami abortiti, e la fruttificazione avviene per via partenocarpica o in seguito ad impollinazione da parte di alberi della stessa specie provvisti di fiori maschili. Il D. Kaki è incompatibile con il D. Lotus e il D. Virginiana.
I frutti sono costituiti da grosse bacche tendenzialmente sferoidali, talora appiattite e appuntite di colore giallo-aranciato normalmente eduli solo dopo che hanno raggiunto la sovramaturazione e sono ammezzati (con polpa molle e bruna).
Alcune cultivar hanno la proprietà di produrre frutti gamici già eduli alla raccolta; questi frutti ovviamente provvisti di semi, hanno polpa bruna, soda e sono chiamati Kaki mela.
Esistono anche kaki che producono frutti partenocarpici non astringenti, quindi già pronti per il consumo fresco al momento della raccolta.
I frutti del D. lotus sono piccoli, sferoidali, pruinosi, di colore giallo-bruno a completa maturazione; possono essere gamici o partenocarpici. I semi, quando presenti, sono piccoli, reniformi con episperma bruno chiara. I frutti del D. virginiana sono relativamente piccoli, ovoidali con polpa leggermente astringente ma dotata di un caratteristico aroma che ricorda quello del dattero. I semi sono reniformi di colore bruno scuro. Il Diospiro fruttifica sulle gemme miste portate dai rami misti e dai brindilli. Ogni gemma mista origina, alla chiusura, un germoglio che all'ascella delle foglie basali porta i fiori. La differenziazione dei primordi fiorali avviene dai primi di luglio ai primi di agosto, quando sono evidenti gli abbozzi dei petali. L'evoluzione del fiore si arresta nel periodo autunno-invernale, per poi riprendere al risveglio vegetativo con il completamento degli organi fiorali. La fioritura avviene verso metà di maggio ed è seguita da una cascola dei frutticini non allegati, che raggiunge l'intensità massima nel mese di luglio.
È ritenuto una specie subtropicale, ma pur essendo una pianta idonea al clima mediterraneo, con la scelta di opportuni portinnesti riesce a sopportare nella pianura Padana e nel Trentino temperature inferiori ai 10 °C sotto zero.
Si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, compresi quelli argillosi, purché ben drenati, profondi e di scarso contenuto in sodio e boro. Per le sue caratteristiche il kaki viene perfettamente coltivato nel territorio siciliano e specialmente nelle località della Conca d'Oro o limitrofe alla cittadina di Misilmeri, in provincia di Palermo, nella quale ogni anno vengono organizzate sagre e manifestazioni nei mesi autunnali.
La propagazione per seme ha il fine di ottenere dei semenzali da utilizzare come portinnesti, mentre per la propagazione delle cultivar si ricorre all'innesto. I semi estratti dai frutti possono essere conservati in sabbia o in apposite celle con temperatura e umidità controllate, per essere posti in semenzaio e le piantine ottenute sono trapiantate dopo un anno in vivaio, dove vengono innestate nella seguente annata vegetativa. Gli innesti a gemma mostrano scarso attecchimento e allora si opera con le marze (spacco diametrale, corona).
Parallelamente si sta sviluppando anche la tecnica della micropropagazione e della talea per l'ottenimento di piantine autoradicate.
Il portinnesto più usato è il D. lotus che è dotato di buona resistenza a freddo e siccità; risulta disaffine con le cultivar non astringenti, mentre presenta buona affinità con quelle astringenti. L'innesto su franco (D. kaki) è poco diffuso perché non molto resistente al freddo ed a eccessi d'acqua, ma è adottato negli ambienti meridionali per le cultivar non astringenti (sempre eduli).
L'impianto si fa tenendo conto delle minime termiche invernali e l'adattabilità della specie ai diversi tipi di clima. La preparazione del terreno è come quella che serve per gli altri fruttiferi ma bisogna fare attenzione al drenaggio e alla presenza di nematodi (la pianta è molto sensibile). Non tollera il reimpianto. La messa a dimora avviene in autunno-inverno usando astoni, che poi sono allevati a vaso, piramide, palmetta (quest'ultima forma avvantaggia l'ingresso in campo di carri a piattaforme laterali per la raccolta e la potatura). Sesti di 5,5 m per il vaso e di 4,5 X 4 m per la palmetta.
La presenza di impollinatori è consigliata non solo per ottenere i kaki-mela (non astringenti) dalle cultivar che producono frutti gamici eduli al momento della raccolta, ma anche, in generale, per aumentare l'allegagione.
È doverosa un'adeguata potatura di allevamento mentre quella di produzione è sommaria dato che le piante mantengono una buona attività vegetativa.
La raccolta rappresenta l'operazione più onerosa nella coltivazione; i frutti sono difficili da staccare e la raccolta si può fare solo manualmente. I frutti sono posti in plateaux o cassette dove vengono mantenuti sia per la conservazione che per la commercializzazione.
Non sono in uso degli indici di maturazione in grado di indicare il momento migliore per la raccolta. L'unica indicazione viene dalla valutazione colorimetrica del contenuto in tannini attraverso l'immersione del frutto, sezionato trasversalmente, per 30 secondi in una soluzione di cloruro ferrico; altri parametri sono la completa scomparsa della clorofilla e la consistenza della polpa. Con la tecnica del freddo può anche essere conservato per 2 mesi.
È finalizzato al consumo fresco. Una tecnica per accelerare la maturazione consiste nel conservare i kaki in celle frigorifere insieme a frutti che producono etilene (mele) con atmosfera ricca di ossigeno e temperatura intorno ai 30 °C.
Si distinguono oltre che per le caratteristiche vegetative (vigoria, produttività forma dei frutti) anche per il loro comportamento a seguito della impollinazione. La classificazione pomologica dei frutti di diospiro è determinata dagli effetti dell'impollinazione sulle caratteristiche organolettiche dei frutti al momento della raccolta e, su tale base, le cv possono essere suddivise in due gruppi principali:
Costanti alla fecondazione(CF)-Coltivazione con frutti che mantengono la stessa colorazione della polpa (costantemente chiara) sia nei frutti fecondati sia in quelli partenocarpici.
Variabili alla fecondazione(VF)-Coltivazione con frutti che modificano le caratteristiche della polpa che risulta chiara e astringente nei frutti partenocarpici, mentre diviene più o meno scura e non astringente in quelli fecondati.
Sulla base di questa classificazione ci sono cultivar che producono frutti costantemente astringenti, non eduli alla raccolta (Yokono, Sajo); cv costantemente non astringenti con frutti eduli alla raccolta (Hana fuyu, Jiro, Izu, Suruga); cultivar variabili all'impollinazione, con frutti gamici eduli alla raccolta (kaki-mela) e frutti partenocarpici non eduli alla raccolta (Wase, Triumph).
Coltivazioni diffuse in Italia:
Loto di Romagna
Vaniglia della Campania
Fuyu
Kawabata
Suruga
Il kaki apporta circa 65 chilocalorie per 100 grammi. È composto da circa 18% di zuccheri, il 78,20% di acqua; lo 0,80% di proteine; lo 0,40% di grassi oltre ad una ragionevole quantità di vitamina C, è inoltre ricco di beta-carotene e di potassio.

Ha proprietà lassative e diuretiche ed è sconsigliato a chi soffre di diabete o ha problemi di obesità. è molto indicato per depurare il fegato e per l'apparato nervoso.
Se gustato ancora in stato acerbo, può provocare la classica sensazione da "bocca legata". È una sensazione gustativa (tattile) di asprezza e ruvidità che si avverte principalmente sul dorso della lingua.
Il kaki oggi è quasi abbandonato , per il suo consumo qui da noi: deve maturare, poi quando matura va consumato entro pochi giorni, ci si sporca le mani per mangiarlo etc. etc.
Mentre invece, dato che raccoglie dalla primavera fino a fine ottobre ogni forza solare rappresenta una grande concentrazione di calore, di colore, di odore e di gusto.
Praticamente non hanno malattie o parassiti tranne gli uccelli che se li gustano appena sono maturi.
E’ eccezionale gustarlo maturo, io ne ho un paio di vecchie piante che ne portano almeno un paio di quintali ed è una gioia raccoglierli.
Il suo sapore unico, quando gustate quelle specie di spicchi che praticamente sono uniti, ma la densità e la reazione alla lingua ti fa sembrare di leccare una giovane vulva, si sente che porta le forze del sole in noi e sarebbe veramente utile farne una cura mangiandone due o tre a colazione.
Dato che, come ho detto, è un concentrato di calore poco sopporta l’intenso calore del fuoco e poco si presta a farne marmellate o composte. Però tagliato quando non è ancora troppo maturo (prima che si sfaldi sotto il coltello) ed essiccato a temperature che non superino i 65° rappresenta una delicatezza ed una prelibatezza durante l’inverno.
Rivalutiamo il kaki e se non ne abbiamo una pianta piantiamone subito una vicino a casa, ci terrà il calore del sole sempre vicino ed a disposizione.
Ivo Bertaina

Piante officinali

Acacia, Mimosa  -  Acacia dealbata
Acacia, Mimosa - Acacia dealbata
Nome: Robinia pseudo-acacia Famiglia: Papilionace Nomi comune: cascia, spina foggia, robinia, parasol, acag. Habitat: Dappertutto sotto i 700 metri. Parti usate: Si utilizzano solo i fiori



Aglio - Allium
L'aglio è una pianta di origine Europea, coltivata ormai in gran parte del globo, per usi gastronomici; si tratta di una bulbosa, di cui si utilizzano appunto i piccoli bulbi in cucina.
 
Biancospino  -  Crataegus
Biancospino - Crataegus
Nome: Crataegus oxvacantha L. Famiglia: Rosacee. Nomi comuni: spi della lendena, spiazzo, pagaia, maggio, pruno aguzzo, pà d'asen, ma ruga bianca. Habitat: tra i cespugli fino alle pendic

Camomilla  -  Matricaria camomilla
Camomilla - Matricaria camomilla
Nome: Matricaria camomilla L. Famiglia: Composite. Nomi comuni: carboniglia, erba maria, samariza, amareggiola, carcumiddu. Habitat: Si può trovare in qualsiasi ambiente al di sotto dei 250 m
 

 Gelsomino  -  Jasminum officinale
Gelsomino - Jasminum officinale
Nome: Jasminum officinale L. Raccolta: In estate. Proprietà: Astringente e leggermente sedativo.
 
 
Liquirizia  -  Glycyrrhiza glabra
Liquirizia - Glycyrrhiza glabra
Nome: Glycyrrhiza glabra L. Raccolta: Tra settembre e novembre. Proprietà: Rinfrescante, bechico, lassativo, espettorante, diuretico, antinfiammatorie. Famiglia: Papilionacee.
 
Luppolo  -  Humulus lupulus
Luppolo - Humulus lupulus
Nome: Humulus lupulus L. Raccolta: Alla fine dell’estate. Proprietà: Aromatico, diuretico, digestivo, sedativo, lassativo, anafrodisiaco. Famiglia: Cannabinacee. Nomi comuni: Vertis, leppele
Menta
Menta
Esistono centinaia di specie di menta, diffuse in Europa, Asia ed Africa; le specie più diffuse sono piccole perenni rizomatose, con foglie molto aromatiche, utilizzate in erboristeria ed in cucina.
 
Tarassaco, Dente di cane, Cicoria selvatica  -  Taraxacum officinale
Tarassaco, Dente di cane, Cicoria selvatica - Taraxacum officinale
Nome: Taraxacum officinale Weber. Raccolta: I fiori in primavera, le altri parti tra maggio e settembre. Proprietà: Tonico, lassativo, diuretico, coleretico. Famiglia: Composite.
 
Tiglio - Tilia sp
Nome: Tilia sp.pl. Raccolta: Tra maggio e luglio. Proprietà: Fiori: sedativo, bechico, antispasmodico; la corteccia: ipotensivo, antispastico. Famiglia: Tiliacee Nomi comuni:

 


 Timo  -  Thymus vulgaris
Timo - Thymus vulgaris
Il timo è una piccola perenne tappezzante, diffusa in tutta l'area mediterranea; come pianta medicinale viene utilizzato di preferenza il thymus vulgaris
 




Ginseng - Panax

Il nome scientifico del ginseng, "Panax", deriva dal greco pan che significa tutto e axos che significa cura.
La coltivazione del ginseng richiede molta abilità, si propaga dal seme in primavera e richiede un terreno ricco in sostanze nutritive e ben drenato.
La radice viene raccolta durante il periodo autunnale. il ginseng di solito si usa sotto forma di capsule, tavolette, fluidi, estratti molli ecc. Il ginseng è considerato da molti un ottimo tonico in caso di astenia e in caso di convalescenza.
Azione adattogena: aiuta l'organismo ad adattarsi allo stress, alla stanchezza e al freddo; favorisce l'attività mentale aumentando la capacità di concentrazione e di memoria.

ginseng

Ficus microcarpa ginseng



ficus

Generalità


il ficus ginseng è una varietà di ficus microcarpa, dalle dimensioni abbastanza contenute. La specie f. microcarpa è un albero, che raggiunge i 20-25 m di altezza, originario dell'Asia e dell'Australia; F. ginseng è invece un arbusto di media grandezza, che può raggiungere i 100-130 cm di altezza, sempreverde. Il fogliame è lucido, ovale, coriaceo, di colore verde scuro brillante; la corteccia è di colore chiaro; in natura queste piante producono piccoli fichi di colore porpora o nero, che si sviluppano lungo le ramificazioni. La caratteristica principale del ficus ginseng sono le radici: hanno sviluppo aereo e raggiungono dimensioni cospicue, donando alla base del tronco una forma caratteristica; le grandi radici aeree ricordano larghi tuberi robusti. Questa specie di ficus presenta fogliame di dimensioni abbastanza contenute, questa caratteristica, unita alle dimensioni totali della pianta ed alle grosse radici aeree ha reso il ficus ginseng molto apprezzato anche come bonsai.

Trattamento

Esposizione: predilige posizioni ben luminose, ma è bene evitare l'eccesso di luce solare diretta; soprattutto si consiglia una esposizione graduale al sole diretto, e di evitare una eccessiva insolazione durante la stagione calda. Questo ficus può sopportare temperature vicine allo zero, anche se si ha uno sviluppo migliore coltivando la pianta con temperature minime non inferiori ai 10°C. Quindi da marzo ad ottobre si può esporrre all'aperto, in luogo semiombreggiato, mentre durante i mesi freddi si coltiva come pianta da appartamento, oppure in serra temperata. Annaffiature: da marzo-aprile, fino alla fine dell'estate, si annaffia abbondantemente, attendendo sempre che il terreno sia ben asciutto tra un'annaffiatura e l'altra, ed evitando di lasciare acqua nel sottovaso; con l'arrivo dell'autunno le annaffiature si diradano, inumidendo il terreno periodicamente, senza però dimenticare di vaporizzare spesso la chioma. Nel periodo vegetativo fornire del concime per piante verdi, ogni 15-20 giorni, mescolato all'acqua delle annnaffiature.

Riproduzione

Terreno: utilizzare un buon composto ricco di humus, molto ben drenato; si può utilizzare del terriccio universale, mescolato con una piccola quantità di sabbia e di stallatico ben maturo. In genere si scelgono contenitori non troppo capienti, in modo da far ben risaltare la dimensione delle radici aeree. Moltiplicazione: avviene in genere per seme, in primavera, oppure per talea, durante i mesi estivi. Parassiti e malattie: soffrono per l'attoacco della cocciniglia, soprattutto in un clima molto asciutto. Eccessive annaffiature, o un terreno scarsamente drenante, possono favorire l'insorgere di marciumi.
Ulteriori informazioni su: Ficus microcarpa ginseng - Appartamento

Funghi - Il Micelio

Il micelio
L'insieme dei sottili filamenti cellulari chiamati ife, va a costituire un intreccio sufficientemente compatto chiamato micelio. In origine il micelio nasce dalla germinazione delle spore dei funghi per poi moltiplicarsi per divisione cellulare. Teoricamente l'organo di riproduzione dei funghi è la spora; in realtà però nella coltivazione si utilizza il micelio. Il micelio, non solo a livello hobbistico ma anche industriale, viene preparato da ditte specializzate che dispongono di apposite attrezzature e curano all'inverosimile l'igiene dei metodi di preparazione, per non avere prodotto inquinato: se infatti fosse già inquinato il micelio di partenza, non si potrebbe certo sperare nella buona riuscita della coltura. In laboratorio, piccole quantità di micelio puro vengono inoculate su substrati sterili di cereali (miglio ed avena in particolare), normalmente contenuti in bottiglie o sacchetti di plastica (fig. 4). Una volta che il micelio ha completamente invaso il substrato, le confezioni vengono inviate ai fungicoltori per inoculare i substrati di coltura. Il micelio è facilmente deperibile quindi, una razionale conservazione è alla base di una buona riuscita della coltura: deve essere infatti conservato in frigorifero a + 2°C di temperatura. Anche in frigorifero la sua conservazione è limitata e varia dai 12-15 mesi per il micelio di prataiolo ai 40-60 giorni per il micelio di Flammulina velutipes. Il micelio descritto è quello comunemente usato sia a livello di coltivazione da reddito, sia hobbistico. L'amatore comunque ha sempre notevole difficoltà a conservare il micelio fresco sopra descritto o ad acquistarlo con ottime garanzie di conservazione. Il micelio secco non è altro che il micelio fresco disidratato con opportuni accorgimenti. Il micelio deve essere essiccato con macchine che diano sufficiente garanzie d'igiene, che non lo riscaldino togliendogli potere germinativo, né che ne rompano la struttura cellulare disidratandolo (liofilizzazione). Il micelio secco, che solo in casi particolarissimi viene usato nella coltivazione da reddito, è fortemente diffuso a livello amatoriale.
Al fungicoltore professionista il micelio secco non interessa poiché, se ben preparato, è di più alto costo ed è comunque più facilmente inquinabile all'atto della semina e successiva reidratazione. L'amatore acquista più volentieri il micelio secco poiché più facilmente conservabile e di facile trasporto; inoltre per le piccole quantità di substrato che andrà ad inoculare, le maggiori difficoltà di utilizzo non rappresentano per lui un grosso rischio economico.
Quando è possibile, comunque, soprattutto a livello di costi, è sempre consigliabile utilizzare micelio fresco in particolare perché, indipendentemente dal fatto che il micelio sia fresco o secco, per unità di peso di substrato vengono sempre utilizzate le medesime unità di volume di micelio. Il micelio infatti viene commerciato a volume (litri) e non a peso, che dipende dalla più o meno elevata percentuale di acqua contenuta. Quando si acquista micelio fresco è bene controllare che sul fondo del contenitore non vi siano eccessivi depositi di liquidi (acqua di percolazione normalmente di colore giallastro) né macchie di colori vari che sarebbero indice di cattiva conservazione del prodotto. Quando si acquista micelio secco è bene sapere che la parte biologicamente attiva (micelio) è quella polverulenta che riveste i cereali e, in parte, contenuta negli stessi, non quest'ultimi che sono solamente il substrato di sviluppo del micelio.

L'inoculazione
L'inoculazione o semina è la pratica più importante sia per il fungicoltore professionista che per l'hobbysta. L'hobbysta, in particolare, commette in questa operazione la maggior parte dei suoi errori soprattutto per inosservanza delle più elementari norme d'igiene. Molto spesso infatti, ci si avvicina al micelio, con mani ed abiti sporchi o lo si inocula in ambienti igienicamente non adatti, non si ha cura di proteggerlo dal proprio fiato con una semplice mascherina.
Quando la semina avviene in luoghi chiusi è indispensabile scegliere locali puliti ed è sempre consigliabile, quando possibile, una preventiva disinfezione dell'ambiente ad esempio con acqua e formalina o imbiancando il locale. E buona regola inoltre, frantumare prima dell'uso, con mani ben lavate, il micelio tenendolo in un recipiente pulito (pentola) per poterlo inoculare facilmente in substrati o ceppi di legno, senza farlo cadere a terra, evitando così la tentazione di raccoglierlo.

L'incubazione
Inoculato in un buon substrato di coltura il micelio tende a moltiplicarsi ed invadere completamente il substrato stesso: questa fase prende il nome di incubazione. Normalmente l'incubazione avviene in presenza di alte concentrazioni di anidride carbonica (CO2) e umidità, motivo per cui i substrati di coltura sono sempre più o meno avvolti o ricoperti di materiale plastico impermeabile ai gas e all'acqua e tenuti a temperature ben definite. Il controllo della temperatura del substrato è sempre molto importante. Temperature ottimali facilitano l'incubazione: altre che si discostano da queste possono non solamente rallentarla ma anche impedirla. Normalmente temperature inferiori all'ottimale rallentano soltanto l'incubazione senza impedirla, sempre che nel frattempo non si lascino troppe possibilità agli agenti inquinanti. Temperature troppo elevate possono deteriorare il micelio fino al punto di compromettere l'incubazione.

La produzione dei carpofori
FUNGHI MARA: stanze di coltivazione per il controllo qualità
Completata l'incubazione, i substrati di coltura si presentano completamente invasi da micelio: è questo il momento di portarli nei luoghi di coltivazione affinché fruttifichino ed un'abbondante produzione di funghi compensi di tutte le fatiche e di tutte le ansie. I fungicoltori professionisti dispongono di locali di produzione completamente climatizzati dove realizzare le giuste condizioni di temperatura, umidità, ventilazione e luce ottimali per la produzione dei funghi. Raramente l'amatore ha ambienti simili per cui, conoscendo le esatte necessità climatiche del fungo che vuole coltivare nonché i tempi di incubazione del substrato, programmerà la fuoriuscita dei carpofori in quei periodi stagionali naturalmente favorevoli ed allungherà questi periodi, riparando i luoghi di produzione con frangivento, ombreggianti, teli di nylon e frequenti bagnature.

Substrati di coltura per funghi

Substrati di coltura per pioppini
Per substrato di coltura si intende quell'insieme di materiali, organici e non, in grado di fornire ai funghi le sostanze alimentari nella forma e nelle quantità necessarie a soddisfare i bisogni del suo metabolismo.
FUNGHI MARA: Bagnatura della paglia
I substrati più conosciuti e più largamente usati sono il letame di cavallo, utilizzato per la coltivazione del Prataiolo e del Coprinus comatus (coprino); la paglia di cereali per i funghi del genere Pleurotus, Pholiota, Stropharia, Flammulina ed altri; il legno per Pleurotus ostreatus, Lentinus edodes (ShiiTake), Pholiota aegerita (pioppino), Armillaria mellea (chiodino) ed altri; la segatura di legno nonché sottoprodotti della lavorazione del cotone, dei tessuti in genere e della carta: in sintesi tutti quei substrati che possono portare zuccheri e proteine al fungo nelle forme più disparate. Per scoprire un substrato di coltura adatto al fungo si cerca di capire di quali sostanze si nutre e sotto quale forma queste si presentano nel suo habitat naturale.

Composizione del substrato di coltura

FUNGHI MARA: tunnel di pastorizzazione
Attraverso una serie di prove sperimentali si cerca di ricreare il substrato alimentare idoneo al fungo partendo, il più delle volte, non dallo stesso materiale naturalmente trovato, ma da prodotti simili di facile reperibilità e di basso costo. A volte queste materie prime vengono utilizzate quasi nello stato in cui si trovano in natura come, ad esempio, la paglia ed il legno di pioppo per il Pleurotus ostreatus. In altri casi invece, come per il prataiolo, i substrati di partenza vengono ampiamente "lavorati" al fine di ottenere quelle fermentazioni e successive trasformazioni che li rendono accetti al fungo.
Una volta individuata la composizione del substrato di coltura ed effettuata la fermentazione fino ad ottenere la giusta trasformazione delle materie prime, il substrato è pronto ad ospitare i funghi, nutrirli e permettere loro la vita. In teoria quindi basterebbe inoculare (seminare) in essi il micelio del fungo ed iniziare la coltivazione: è in realtà ciò che facevano i primi coltivatori di prataiolo, quando preparavano il substrato nelle grotte per poi disporlo in sottili e lunghi cumuli (corps de meule schiene d'asino) dove inoculavano il micelio.


"Pastorizzare" o a "sterilizzare" il substrato di coltura per funghi

FUNGHI MARA: confezionamento del composto
Va da sé che se quel composto rappresenta un ottimo substrato alimentare per il nostro fungo rappresenta altresì anche un'appetibile e ricercato nutrimento per la miriade di muffe, insetti, batteri, virus, non dannosi all'uomo e agli animali, naturalmente presenti nell'ambiente e in quel tipo di substrato e concorrenziali con il nostro fungo. Per eliminare tutti questi indesiderati concorrenti, il coltivatore tende a "pastorizzare" o a "sterilizzare" il substrato di coltura, cioè a sottoporlo a sbalzi termici grazie ai quali si uccide tutta la microflora patogena. Si parla di pastorizzazione quando il substrato è sottoposto ad una serie di trattamenti termici programmati e controllati coi quali eliminare solo gli individui patogeni concorrenziali con il fungo da coltivare ma non la microflora amica. E' questa una pratica molto razionale poiché i microrganismi rimasti nel substrato tenderanno ad opporsi all'inquinamento dell'ambiente difendendo il substrato stesso fintanto che questo non sarà invaso ed, a sua volta, difeso dal micelio del nuovo fungo inoculato.

 Inoculazione del micelio

Nei substrati pastorizzati l'inoculazione del micelio viene fatta in un ambiente pulito, ma non necessariamente sterile, con bassi costi di inoculazione e con metodi estremamente semplici proprio grazie al sistema di difesa che ha in sé. La pastorizzazione però è possibile solo quando si conoscono molto bene le esigenze sì alimentari ma, soprattutto, di convivenza del nostro fungo. In caso contrario si procede alla sterilizzazione del composto cioè alla eliminazione totale di ogni forma di vita nel suo interno, affinché non vengano a frapporsi ostacoli fra il substrato ed il fungo desiderato.
E' ovvio che in questo caso, le condizioni di inoculazione del micelio debbano essere perfette, altrimenti il substrato verrebbe facilmente inquinato dai microrganismi dell'ambiente. Poiché, solitamente, l'amatore non dispone delle attrezzature necessarie per la pastorizzazione, può facilmente incorrere in rischi di inquinamento; se però avrà cura di operare con metodo e pulizia, sarà ugualmente in grado di ottenere risultati più che soddisfacenti.

Se per l'hobbysta è pressoché impossibile la pastorizzazione, altrettanto non si può dire della sterilizzazione.

Sono già numerosi infatti gli appassionati che dispongono di piccole autoclavi o di forni a secco, dove vanno a sterilizzare piccole quantità di substrato entro sacchetti di plastica termo-resistente. Il sacchetto viene poi aperto in luoghi estremamente puliti (possibilmente in cappa sterile), vi si inocula un po' di micelio per poi richiuderlo immediatamente immediatamente avendo cura di inserire nella bocca d'apertura un tappo-filtro, sterilizzato assieme al composto, che permetta al substrato inoculato leggeri scambi gassosi con l'esterno.
Sacchetti di substrato come quelli descritti, possono essere sterilizzati, uno per volta, in comuni pentole a vapore da cucina.
Substrato sterile può inoltre essere preparato a "bagnomaria" entro i vasi di vetro in cui si preparano frutta sciroppata e conserve.

Funghi Pioppini

Fungo Pioppino
Il Pioppino (Pholiota aegerita) : ottimo e ricercato con colorazione variabile ocra-nocciola scuro in funzione della intensità di luce. Emerge a piccoli cespi o in forma isolata.
Resistenza alle temperature minime discreta
Resistenza ai rialzi termici buona
Colore ocra-nocciola
Pezzatura media
Produttività buona
Precocità a 18-22° e ad umidità relativa 70-90% circa circa 20-25 gg.
Periodo di coltivazione ottimale autunno-primavera
Resistenza: questo fungo presenta buona resistenza alle avversità, ottima resistenza ai rialzi termici
Ambiente di Coltivazione: la coltivazione va fatta in apposite serre fungaie

evidenziati in giallo i mesi consigliati
da 000 a 300 m sul livello del mare
G F M A M G L A S O N D
da 300 a 700 m sul livello del mare
G F M A M G L A S O N D
da 700 a 1000 m sul livello del mare
G F M A M G L A S O N D
Inizio Pagina

Funghi Shiitake

Fungo Shiitake
Lo Shiitake (Lentinus edodes) è particolarmente ricercato per il suo ottimo aroma.
E' comunemente ritenuto "elisir di lunga vita" per i suoi innumerevoli effeti farmacologici, quali la prevenzione o il trattamento di emorragie cerebrali e la regolazione della circolazione capillare. Contiene vari polisaccaridi con azione antitumorale; in particolare spicca il lentinano che è anche un potenziatore di fenomeni immunitari. Inoltre è attualmente oggetto di studio la sua proprietà anticolesterolo.
Resistenza alle temperature minime scarsa
Resistenza ai rialzi termici buona
Colore bruno-violaceo
Pezzatura medio-piccola
Produttività media
Precocità a 16-18° e ad umidità relativa 70-90% circa 60 gg.
Periodo di coltivazione ottimale primavera inoltrata e inizio autunno
Resistenza: elevata alla Batteriosi, al Trichoderma viride e al Dactylium dendroides
Ambiente di Coltivazione: la coltivazione va fatta in apposite serre fungaie
evidenziati in giallo i mesi consigliati
da 000 a 300 m sul livello del mare
G F M A M G L A S O N D
da 300 a 700 m sul livello del mare
G F M A M G L A S O N D
da 700 a 1000 m sul livello del mare
G F M A M G L A S O N D
Altri Ceppi

Coltivare funghi pioppini


Si chiamano indifferentemente
nel linguaggio comune: pioppini o piopparelli, e siamo in presenza della medesima specie: Pholiota aegerita. Anche se gli alberi prediletti da questi  funghi sono i pioppi, meglio se vecchi, non disdegnano di nascere anche su altri tipi di piante come gli olmi, le querce, i salici, ecc.
Sono anch’essi funghi parassiti-saprofiti spontanei, ma che si utilizzano bene nella coltivazione artificiale su tronchi di latifoglie, come il pioppo od altre piante con caratteristiche simili.
Una curiosità: questi funghi a differenza di altre specie parassite nascono prevalentemente nella parte alta del tronco, invece che alla base di esso.

Descrizione

Il cappello da giovani si presenta color bruno ma, gradualmente, il colore tende a divenire color nocciola nell’intera superficie, tranne il centro che continua a rimanere lievemente più scuro. Il gambo è piuttosto alto, flessuoso e fibroso, le lamelle sono bianco-beige con tendenza a diventare più scure negli esemplari adulti. Si riproducono nella stagione primaverile proseguendo fino all’autunno, purché la temperatura si stabilizzi intorno ai 20° C e le piogge siano frequenti.
Hanno carne tenera nel cappello, ed un profumo assai gradevole sia allo stato fresco che dopo la cottura, avvertibile anche a distanza, ma i gambi è meglio scartarli. Da preferire, ad ogni modo, gli esemplari di dimensioni più piccole per meglio utilizzarli e conservarli.

Anche nei tempi antichi venivano coltivati
Greci e Romani li coltivavano, anche se le loro conoscenze scientifiche riguardo alla riproduzione dei funghi erano estremamente scarse, essendo sconosciute le spore e la loro specifica funzione nel processo riproduttivo. Si limitavano a spargere segatura di pioppo sul terreno in notevole quantità.
Dopo che le piogge l’avevano fortemente inumidita da essa spuntavano simpatici funghetti, magari in quantità limitata, i pioppini.

Pochi, ma buoni
Il profumo e il buon sapore di questi funghi, per la verità poco abbondanti in natura, nei mercati e poco noti, ci invitano, invece, ad avvicinarli per preparare più frequentemente con essi gustose ricette (pioppini all’olio, sughi per la pasta, o comunque variamente preparati).
Sono inoltre leggeri e facilmente digeribili come le altre specie coltivate precedentemente descritte.

Pareri su taglio rami di grande ciliegio

Come Tagliare Due grossi rami di un ciliegio 
 Io ho molti ciliegi e nn è vero che muoiono la cosa importante e tagliare questi rami nel periodo giusto in pratica tra ettembre e ottobre quando nn c' è troppo caldo e nemmeno troppo freddo, comunque anche legarli nn è male ma se li levi i rami e meglio cosi l albero prende più aria e aumenta la produzione, spero di essere stato esaudiente.

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  I periodi migliori per la potatura di produzione, coincidono, quindi, con la fine dell’inverno e con la fine dell’estate. In pratica, a differenza che per i primi anni di vita (potatura di allevamento), bisogna evitare di intervenire durante la stagione vegetativa, ossia durante la fase di germogliazione, fioritura e fruttificazione.

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la recisione del ramo deve avvenire nel punto in cui è presente una diramazione che prenderà il posto del ramo rimosso. Bisogna evitare di tagliare i rami più consistenti, trattando le ferite con mastice cicatrizzante, che crea anche una barriera agli attacchi parassitari. Il taglio deve essere inclinato, per limitare i danni di eventuali piogge.
Per i pochi interventi di cui il ciliegio necessita, bisogna usare la massima igiene, sterilizzando con cura le lame degli attrezzi bene affilate. I tagli devono essere eseguiti da una mano esperta, senza creare sfrangiature.
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Vi presento il mio ciliegio. Ha una circonferenza di 1 metro, un altezza di 8 metri, e si trova a 300 metri SLM.
Ci siamo conosciuti 5 anni fa, ma non mi ha fatto mai assaggiare i suoi frutti. Quest’inverno abbiamo tagliato 4 rami di una circonferenza tra 30 e 40 cm. In tarda estate, vedremmo di potarlo meglio. È molto disordinato. Adesso è pieno di ciliegie. Spero che i uccelli ci lasceranno qualcosa.
La ricetta del mio mastice: vinavil + verderame.

Piante profumate - caprifoglio



Lonicera (Caprifoglio)


lonicera_japonica

Genere stimato soprattutto per gli esemplari rampicanti, annovera anche specie arbustive, spoglianti o sempreverdi. Le foglie dei caprifogli, ovali o oblunghe, differenziate a seconda della specie, sono opposte. I fiori hanno diverso colore e profumo; possono essere bianchi, gialli, rossi, profumati o, addirittura, senza profumo, come nel caso della Lonicera nitida.
FIORITURA: Avviene da aprile a settembre a seconda della specie.
LUCE: La posizione ideale è quella a mezz’ ombra, anche se la maggior parte delle specie tollera pure esposizioni al sole.
ACQUA: Annaffiature normali, più frequenti e intense in presenza di stagione siccitosa, nel qual caso sarà utile anche pacciamare le radici della pianta per mantenere l’ umidità del terreno.
TEMPERATURA: Molte delle specie più coltivate mostrano una buona resistenza al freddo e non richiedono protezioni invernali. Altre, invece, devono essere coltivate in zone a clima mite, se non, addirittura in serra.
CONCIME: Distribuire concime polivalente in primavera e in estate, qualora la pianta stenti a crescere.
CONSIGLI: Gradisce terreni ricchi di sostanza organica, fertili, profondi, privi di ristagni d’ acqua. Pianta che non richiede particolari interventi. La moltiplicazione avviene per seme distribuito agli inizi dell’ autunno per le specie rampicanti, altrimenti per talea e per propaggine multipla.
CURIOSITA’: Pianta originaria della Cina, Giappone , Europa meridionale. Le specie arbustive si utilizzano per bordure e divisori, mentre quelle rampicanti ben si adattano a ricoprire pergole, muri ecc.

Quercia rossa

Istruzioni
come-coltivare-la-quercia-rossa-americana-nel-proprio-giardino

Cosa serve

  • giardino, siepe o prato
  1. Questo bellissimo albero può superare i 10 metri ed è molto decorativo in tutte le stagioni poichè in primavera il fogliame è verde chiaro, in estate da i frutti, in autunno è rosso ed in inverno marrone. Stranamente mantiene le foglie morte sui rami per tutto l'inverno e cadono solo a primavera quando appaiono le nuove.
  2. Si impianta bene in autunno (zolle) ma le piante vendute in contenitori si possono piantare tutto l'anno. Sebbene preferisca i suoli ricchi, tollera un po' il calcare. Teme, invece, i suoli impregnati di acqua. Non ha problemi di esposizione perchè si trova bene sia al sole che in penombra. Per frenarne l'espansione è possibile cimarlo ad 1 metro di altezza.
  3. Si moltiplica per talea o per innesto perchè la semina è un po' più difficile da realizzare. Per quanto riguarda le cure, a parte l'oidio, i bruchi e i maggiolini, la quercia rossa non teme i parassiti: ci pensano gli ausiliari. Si può coltivarla isolata su u prato o in una siepe a condizione di tagliarlo a 50 cm dal suolo ogni 5 anni.

Come coltivare la quercia


 
come-coltivare-la-quercia

Cosa serve

  • terreno
  • Acqua
  1. Potete tranquillamente decidere di piantare la vostra quercia in giardino purchè ci siano a disposizione ampi spazi. Il clima ideale è quello italiano, ma resiste particolarmente bene anche al freddo. Come moltre altre specie i giovani esemplari richiedono molte più cure rispetto agli individui posti a dimora da qualche anno.
  2. Le querce spesso necessitano di un tutore in modo da non danneggiare nè le radici nè il fusto. Posta a dimora la pianta dovrete mescolare al terreno un concime organico ben maturo ed annaffiate. Evitate, soprattutto in giovane età, di sottoporre la pianta ad un eccessivo stress vegetativo.
  3. Dovrete annaffiare il terreno durante i periodi di siccità e concimarle ogni 3 o 4 mesi con concime organico o di concime granulare a lenta cessione. Dopo qualche anno la pianta, ormai matura, si accontenterà dell'acqua piovana. Le piante adulte non sono soggette a malattia. I piccoli esemplari sono invece soggetti a malattie fogliari, quali oidio, ticchiolatura o ruggine, che possono causare il rapido deperimento dell'intera pianta.

la quercia

alberi: la quercia



Quercus - genere delle Fagaceae, la quercia è un albero o arbusto sempreverde. Le sue caratteristiche principali sono la sua chioma che è molto ampia e la sua corteccia sugherosa. Le foglie sono alterne, lobate o dentate e, spesso, sulla stessa pianta hanno forme diverse perché le foglie giovani possono differire completamente dalle adulte. I fiori sono maschili e femminile e sono presenti sulla stessa pianta; i maschili sono riuniti in amenti (infiorescenze pendenti dette gattici) di colore giallo, mentre i fiori femminili, insignificanti, sono di colore verdastro. I frutti, le ghiande, sono degli acheni, vale a dire frutti secchi che contengono un solo seme, avvolti nella parte superiore, da una cupolina liscia o spinosa come fosse un cappellino.

Al genere Quercus appartengono circa 450 specie di piante rustiche, per lo più a foglie decidue anche se non mancano varietà sempreverdi. Le prime specie di Querce comparvero sulla terra fin dalla più lontana antichità, ne sono testimonianza alcuni reperti fossili che risalgono al periodo Cenozoico.Tra le varietà di Querce più conosciute: la Quercus robur (più conosciuta col nome di Farnia, comprendente anche, per alcuni botanici, le sottospecie Rovere (Quercus petraea) e Roverella (Quercus pubescens)), specie molto rustica di grandi dimensioni anche se la crescita è molto lenta, longeva vive 200-300 anni, tipica dell’Europa centroccidentale.

Quercus Cerris, conosciuta come Cerro, una specie originaria delle regioni sudorientali dell’Europa ma molto diffusa anche in Italia; è una pianta maestosa dalla chioma ovoidale e dal legname pregiato.

Quercus Ilex, tipica delle regioni mediterranee, più conosciuta con il nome di Leccio; pianta dalla chioma tondeggiante, con numerose ramificazioni decombenti, longeva, può vivere 800-900 anni. Le piante di Leccio presentano un accentuato polimorfismo fogliare cioè una gran varietà di forme di foglie dal colore verde scuro, lucente nella pagina superiore, biancastre in quella inferiore.

Il tronco del Leccio è robusto, molto ramificato, con corteccia nerastra screpolata e rugosa.

Quercus Suber, più conosciuta come Sughera, è la quercia da sughero, tipica delle isole mediterranee, Sardegna, Sicilia, Corsica e della Spagna.E’ una pianta dal portamento eretto con chioma irregolare, sempreverde; la corteccia è caratteristica e ricopre sia il tronco sia le maggiori ramificazioni; scortecciando periodicamente il tronco, si ricava il sughero che si riforma dopo qualche tempo.

La Quercia, nei secoli, è sempre stata il simbolo della forza, della virilità e del valore in campo militare.

Il ramo di quercia è per i Romani simbolo di virtù, forza, coraggio, dignità e perseveranza.

È celebre la quercia sotto cui Torquato Tasso si riposava e leggeva durante il suo soggiorno a Roma.

fonte: wikipedia

quercia

Quercus petraea

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Rovere
Quercus petraea 06.jpg
Quercus petraea
Stato di conservazione

Status iucn2.3 CD it.svg

Basso rischio (cd)[1]
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
Divisione Magnoliophyta
Classe Magnoliopsida
Ordine Fagales
Famiglia Fagaceae
Genere Quercus
Specie Q. petraea
Nomenclatura binomiale
Quercus petraea
(Mattuschka) Liebl.
Sinonimi
Quercus sessiliflora
Il rovere (Quercus petraea (Mattuschka) Liebl. ) è una quercia caducifoglie di prima grandezza, appartenente alla famiglia delle Fagacee.

Giardino sempre profumato

In un giardino la scelta di piante e fiori dovrebbe avere come finalità lo stimolo della vista, ma non solo, anche l’olfatto, quindi il gusto, il tatto e infine l’udito.
In questo mese analizziamo il progetto di un angolo dedicato all’olfatto, un luogo dove sostare per leggere, conversare o dormire… immersi nei profumi che la natura può donare.

Consigliamo un appezzamento non troppo piccolo, per esempio 10 x 6 m, sarebbe già un’ottima dimensione. Il motivo è presto detto, la pianta principale che andiamo a far crescere (e cresce velocemente) è una Robinia pseudoacacia ‘Monophylla’ che si riveste in maggio-giugno di numerosissimi grappoli candidi e soprattutto intensamente profumati. Quest’albero, che pomiamo sui due terzi della grande aiuola, si distingue per la corteccia liscia e il tronco diritto, la chioma colonnare, alta ma non troppo larga, abbastanza rada da lasciar passare molta luce, necessaria alla sopravvivenza di altre specie e lievemente ombreggiante per un giusto relax.

Syringa vulgaris
Sui tre lati dell’aiuola piantiamo una siepe abbastanza fitta che servirà anche per dare un po’ di riservatezza al nostro angolo: Syringa vulgaris, ormai reperibile in molti ibridi nei colori dal bianco puro al rosso, con tutte le sfumature di rosa e lilla. Il soave profumo che emana in maggio potrebbe mescolarsi a quello della robinia e creerebbe uno stordimento totale da fragranza concentrata, i fiori daranno il meglio di sé dopo una giornata di luce e calore e ci lasceranno inebriati al calare del sole.

Crataegus monogyna
Sul lato opposto alla robinia e in pieno sole, impiantiamo due o tre arbusti di Crataegus monogyna ovvero il biancospino. Non sarà facile trovarne e occorrerà visitare qualche vivaio specializzato in arbusti, si tratta infatti di una specie che nessuno prende troppo in considerazione… eppure è una pianta con molti pregi: ha una fioritura straordinariamente appariscente (anche se breve), profumata di miele, ha bacche autunnali di un bel rosso brillante e infine si adatta a quasi tutte le condizioni ambientali del nostro Paese, a livello del mare come ad alta quota.

Mahonia x media ‘Charity’
Accanto al gruppo di biancospini piantiamo una bella famiglia di Mahonia x media ‘Charity’, piante belle per il loro aspetto scultoreo e favolose nella fioritura di fine inverno, quando emanano un dolce profumo di mughetto. Nelle vicinanze della robinia, non guasterebbe una panca in legno, magari appoggiata alla ghiaia, per accogliere il nostro riposo.

Rose
Alle spalle della panchina non dovrebbero mancare alcuni arbusti di rose, scegliendo le più profumate, e sono tante, come gli ibridi di rugosa: ‘Roseraie de l’Hay’ (abbastanza alta) o le più compatte ‘Hansa, oppure le tapezzanti ‘Norfolk’ il cui aroma si spande per molti metri. Infine, se piacciono le rose inglesi… ecco una delle proposte migliori: ‘The Dark Lady’, rossa, voluttuosa, fortemente profumate di rosa antica.

Lilium candidum
Lasciamo uno spazio accanto alla panca per il trapianto d’agosto dei gigli di S. Antonio, quel Lilium candidum il cui profumo è giustamente famoso per l’intensità e dolcezza. Acquistiamo un buon numero di bulbi e prepariamo per loro un terreno ben concimato e con molta sabbia, servirà ad evitare i ristagni d’acqua, loro peggior nemico, perché favorisce la botrite. Si interrano senza coprirli troppo e soprattutto in fretta, cioè senza lasciare a lungo i preziosi bulbi in magazzino.

Ancora una macchia di rose per completare l’aiuola davanti ai biancospini. Una Rosa “Bourbon” profumatissima e rustica, come la ‘Louis Odier’. I fiori a coppa, rosa intenso sfumati di magenta si adattano benissimo alla coltura nei pressi di arbusti alti o alberi che possono provocarle un po’ di ombra. La fragranza di questa rosa si spanderà per gran parte della giornata, ma soprattutto quando il sole colpirà in pieno le piante.

Il primo piano piantiamo lavanda e garofani. La prima macchia è di Lavandula angustifolia Hidcote’ più volte citata per i tantissimi pregi e non ultimo il profumo fresco e intenso. La porzione di terreno dove si piantano le lavande è quello più soleggiato, non risparmiamo su queste piccole piante e facciamone un gruppo folto, che farà sentire la sua presenza per quasi tutta l’estate e parte dell’autunno.

Dianthus gratianopolitanus
Ma la superficie più ampia del primo piano, lasciamola ai garofani, per esempio Dianthus gratianopolitanus magari nelle colorazioni bianche che ben accompagnano tutte le sfumature di rosa o lavande. I garofani si dispongono a formare un abbraccio ideale attorno alla panchina, un tappeto fiorito e soave per gran parte della giornata.

La rosa è il profumo degli dei

La rosa è il profumo degli dei, la gloria degli uomini, orna le grazie dell' amore che sboccia.. è il fiore più caro a Venere ( Anacreonte V° secolo a.c..)

Piante Profumate

Piante Profumate
Sono molte le piante con fiori o foglie profumate.

Tra le piante piu' interessanti c'e' la Wisteria floribunda (glicine), adatta per posizioni soleggiate e riparate dona una fioritura spettacolare dal classico colore violaceo, bianco o rosa in alcune varieta'. 

Il Jasminum officinale (gelsomino) per sole o mezzombra, forse tra le piante profumate piu' classiche ora con varieta' dal fogliame dorato. 
Per posizioni piu' ombreggiate troviamo sicuramente la Lonicera (caprifoglio), diverse specie e varieta' dai fiori e dal folgiame variamente colorato. Una buona soluzione possono essere anche le rose sarmentose, anche se in alcuni casi la loro eccessiva vigorosita' ne sconsiglia l'uso.

Alcune piante tra cui erbacee e piccoli arbusti possono essere utilmente scelti per le loro foglie o per i loro fiori profumati utilizzandoli anche in vaso. 

Ad esempio la Choisya sempreverde dal fogliame lucido e fiori bianchi profumati che compaiono in inizio estate. Il Philadelphus un arbusto spogliante con candidi fiori primaverili profumatissimi. 
Tra le piante stagionali troviamo il Cosmos e la Mirabilis jalapa (bella di notte). 
Per il fogliame profumato sicuramente troviamo tutte le aromatiche timo, maggiorana, lavanda, rosmarino, ecc., una delle accortezze principali e' rinnovare uno strato del terreno di coltura ad ogni primavera con del terriccio nuovo concimato.

La coltura del ciliegio

La coltura del ciliegio ha la sua principale difficoltà di coltivazione nella dimensione delle piante.
Sia in Italia che nell’ambito europeo, la domanda di ciliegie è elevata e le possibilità di consumo non sono totalmente soddisfatte soprattutto a causa degli elevati costi di produzione e quindi di commercializzazione.
Durante gli anni ‘80, in particolare, la ricerca si è impegnata maggiormente per trovare soluzioni, con la costituzione di portinnesti a scarsa o media vigoria, e di varietà "compatte" e con la messa a punto di idonee forme di allevamento.
Le recenti introduzioni di varietà autofertili a frutto di maggior calibro sta operando un rilancio della cerasicoltura nelle zone tradizionali e suscita interesse in altre zone frutticole.
La meccanizzazione della raccolta anche per i frutti destinati al consumo fresco non trova purtroppo il consenso del consumatore anche per la mancanza di sensibilizzazione degli operatori commerciali che non si adoperano per presentare i frutti quasi sempre senza picciolo in confezioni "accattivanti".

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Clima
Il ciliegio trova ampio adattamento alle condizioni temperato-calde e temperato-fredde dell’Europa.
Vanno evitate le zone dove sono frequenti le piogge prolungate nel periodo di fioritura perché ne ostacolano l’allegagione, e durante la maturazione dei frutti perchè ne provocano la spaccatura.
 
Terreno
I migliori terreni sono quelli di medio impasto o tendenzialmente sciolti, anche di carattere argilloso, purché perfettamente drenati.
L’uso di portinnesti diversi dai tradizionali "franco" e "malebbo" da seme, consente l’adattamento a terreni anche di altro tipo.
Evitare il ristoppio del ciliegio; se non si può occorre utilizzare portinnesti resistenti alla stanchezza: Colt®, GM 61/1 DAMIL®. Pulire bene dai residui di radici della precedente coltura arborea, specialmente se di vite, per evitare il proliferarsi di marciumi.
La preparazione comporta una lavorazione profonda, con ripuntatore, nel caso di terreno che presenti uno strato impermeabile, normale se terreno ben aerato, con la quale si interra la sostanza organica (200-400 q/ha di letame o altri composti organici) e i concimi minerali in quantità variabile in relazione alla disponibilità naturale riscontrata con le analisi: indicativamente può essere di 200-400 Kg/ha di fosforo e 300-600 Kg/ha di potassio. Le analisi indicheranno la necessità di eventuali apporti di altri elementi risultati carenti.

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Sistemi di allevamento
Nei nuovi impianti occorre ricercare forme di allevamento tali da creare piante basse, che entrino presto in produzione e che mantengano una produttività costante. Il tipo di allevamento deve essere combinato con il portinnesto adeguato per favorire lo sviluppo desiderato.
Nel ciliegio, prevalgono nettamente le forme di allevamento in volume (vaso basso) mentre le forme in parete hanno una importanza secondaria.

 Vaso basso.
Generalmente si ottiene da astoni innestati provvisti o meno di rami anticipati, più raramente si innestano i selvatici messi a dimora un anno prima.
Nel caso dell’astone con rami, si mette a dimora intero, tagliando solo i rami troppo bassi o troppo alti. La scelta dei 3 o 4 rami che andranno a costituire le future branche, viene fatta a fine inverno speronando a 2-3 gemme gli altri.
Con astoni senza rami anticipati si taglia l’astone a 30-40 cm, subito dopo la messa a dimora, eliminando con scacchiature i primi germogli che si formano sotto al taglio e lasciando sviluppare quelli sottostanti, che avranno un angolo di inserzione più ampio, procedendo alla precoce selezione mediante cimatura di quelli superflui. Nel caso dell’innesto sul posto, con l’inizio della vegetazione, immediatamente dopo l’innestatura, si sceglie subito il germoglio più vigoroso fissandolo ad un sostegno per evitarne la rottura, eliminando gli altri; se durante la crescita il germoglio non forma dei rami anticipati, lo si spunta in maggio per favorirne l’emissione; se si formano tre o più rami anticipati a 30-40 cm da terra, a fine agosto, il germoglio principale si spunta pochi centimetri sopra l’ultimo ramo anticipato che interessa.
Durante il secondo anno, all’ingrossamento delle gemme si predispongono le canne alle quali fissare i 3 o 4 rami scelti, curando che l’inclinazione sia maggiore per quelli più vigorosi; all’inizio della vegetazione si sceglie il prolungamento delle branche preferendo un germoglio posto orizzontalmente o rivolto verso il basso e una prima sottobranca posta a 70-80 cm dall’inserzione della branca stessa, spuntando precocemente tutti i germogli concorrenti ed eliminando quelli in schiena.
Nei successivi anni si interviene a gemme ingrossate, per spuntare le branche principali al di sopra del ramo scelto l’anno prima quale prolungamento, limitando i tagli all’eliminazione dei succhioni o dei rami mal inseriti. Durante la vegetazione si favorirà lo sviluppo dei germogli prescelti, cimando quelli in concorrenza ed accorciando a 2 o 3 gemme solo i succhioni o i rami troppo vigorosi e mal inseriti, preferendo sempre la piegatura al taglio. Così operando si otterranno delle branche principali molto aperte con diverse sottobranche più o meno orizzontali e numerose branchette pronte per fruttificare.
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Palmetta.
Occorre fare una prima distinzione se si dispone di astoni provvisti di buoni rami anticipati o meno. Nel primo caso si lascia intatta la cima dell’astone, si scelgono due femminelle fra 60 e 80 cm da terra non contrapposte e più o meno nella direzione del filare, raccorciando le altre a pochi millimetri; durante l’estate si eliminano i germogli diretti verso l’interfilare e si fissano i due rami scelti al filo o a due canne; se l’astone sopra la prima impalcatura è ben rivestito di rami si procede alla scelta della seconda impalcatura a 100-120 cm dalla prima; se è invece piuttosto spoglio, a fine luglio si taglia l’astone stesso a 100-120 cm dal primo palco per favorirne il rivestimento fra la prima e la seconda impalcatura. Con astoni privi di rami anticipati si taglia a 60-80 cm da terra l’astone stesso scegliendo i tre germogli per il prolungamento e la prima impalcatura durante la vegetazione e cimando gli altri. Quando la freccia raggiunge la lunghezza si taglia per impostare la seconda impalcatura, come nel caso dell’astone lasciato intero.
Durante la seconda e la terza vegetazione si seguono gli stessi criteri per impostare le altre impalcature (3 o 4), eliminando precocemente i concorrenti dei tre rami scelti; gli altri rami che sviluppano fra le impalcature vanno inclinati o piegati, se molto vigorosi, o cimati per mantenere rivestito il fusto ed indurli a precoce messa a frutto.
A fine luglio si procede al taglio dell’astone per ottenere le altre impalcature a distanza progressivamente minore di quella fra la prima e la seconda.
Sempre durante l’estate si interviene per eliminare i succhioni ed i concorrenti dei rami scelti e quelli che provocano ombreggiamenti o affastellamenti di vegetazione. Ottenuta la formazione completa con buon equilibrio fra la parte bassa e quella alta con il fusto e le branche principali ben rivestiti di branchette secondarie predisposte alla produzione, la potatura consiste nell’eliminazione dei succhioni e dei rami che sviluppano sul dorso delle branche, da farsi molto precocemente, ed in tagli di ritorno sull’asse principale a 4-4,5 m da terra, da eseguirsi a fine agosto-settembre.
Durante la fase produttiva, sempre a fine estate, si procede al rinnovo delle branche fruttifere.


 Bandiera.
Si è diffusa in Francia ("drapeau") dove è stata adottata anche per altre specie, il pero in particolare.
Consiste nell’ottenere una forma a parete dove le piante hanno un fusto principale inclinato di 45° e diverse branche inclinate dalla parte opposta a 90° rispetto al fusto. Si ottiene con astoni ben sviluppati posti a dimora inclinati e non spuntati tenuti in posizione da pali e fili; nei primi anni, all’inizio della vegetazione, si scelgono i germogli distanti 70-80 cm tra loro lasciandoli crescere liberamente in posizione verticale mentre tutti gli altri si spuntano precocemente. Durante la fase di allevamento si adottano gli stessi criteri visti per la palmetta: alla ripresa vegetativa si interviene per scegliere le branche e le sottobranche cimando gli altri germogli e si inclinano le branche lasciate crescere la stagione precedente; a fine estate i tagli devono essere limitati al massimo e consistono nell’eliminazione dei concorrenti dell’astone e delle branche scelte, dei succhioni troppo vigorosi o mal disposti, quando non è possibile curvarli, e di quelli troppo sviluppati di traverso al filare. Raggiunta la forma e l’altezza sufficiente si eseguono tagli di ritorno sulla freccia. La potatura nella fase produttiva è simile a quella della palmetta, si esegue preferibilmente in primavera-estate puntando soprattutto su piegature, inclinazioni, spuntature e rinnovo dei rami fruttiferi.


Ipsilon trasversale.
È una forma adatta per impianti intensivi già vista per l’albicocco e molto applicata per il pesco; si ottiene tagliando l’astone innestato a 40-60 cm da terra e scegliendo, appena la pianta è entrata in vegetazione, due germogli che costituiranno le branche principali mentre tutti gli altri si cimano a due o tre foglie. Con l’aiuto di due canne fissate ad un filo posto a due metri da terra da ogni parte della fila, le due branche si inclinano a 40-50° e su queste si scelgono le branchette secondarie di sviluppo decrescente dal basso all’alto, operando sempre in primavera ed estate con cimature, piegature e riducendo al minimo i tagli (è possibile applicare la ripetuta cimatura a 2-3 foglie di tutti i germogli che sviluppano lungo le branche come per l’asse colonnare) così da favorire la precoce entrata in produzione. Raggiunta l’altezza desiderata, alla fine dell’estate, si esegue un taglio di ritorno.


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Vaso ritardato.
Sistema molto diffuso in Romagna per il pesco; si ottiene disponendo di astoni innestati provvisti di buoni rami anticipati; questi si mettono a dimora senza spuntarli scegliendo i 3 o 4 rami adatti e speronando gli altri. Nel corso dei primi anni si lascia vegetare liberamente cimando i germogli superflui e quelli vigorosi lungo l’astone, favorendo lo sviluppo delle branche che prenderanno naturalmente una posizione molto aperta per la permanenza dell’asse centrale; quest’ultimo viene asportato tagliandolo sopra le branche al 3° o 4° anno alla fine dell’estate. L’entrata in produzione viene un po’ ritardata, ma si evita il costo dei sostegni per l’inclinazione delle branche.

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Potatura di produzione
Tradizionalmente, dopo aver raggiunto la forma desiderata, la potatura nel ciliegio è pratica poco usuale a causa soprattutto dell’incertezza della produzione. L’introduzione di varietà autofertili, costantemente molto produttive, rende indispensabile intervenire ogni anno per regolare la produzione così da mantenere la qualità dei frutti e la giusta vigoria della pianta.
I tagli di ritorno, dei succhioni o dei rami debbono avvenire durante il periodo vegetativo per evitare l’emissione di gomma; la potatura in verde riduce lo sviluppo vegetativo, provoca una migliore induzione a fiore e favorisce la cicatrizzazione dei tagli. Qualora la vegetazione sia insufficiente, con germogli inferiori a 50 cm di lunghezza, oltre ad un’appropriata concimazione azotata, eseguire la potatura a fine inverno, con le gemme ancora ferme, per favorire un più ottimale sviluppo vegetativo.

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Distanze di impianto
Stante la relativa scarsa sperimentazione e la diversità di sviluppo impressa dai portinnesti nei differenti tipi di terreno, i dati riportati in tabella sono indicativi e si riferiscono ad una varietà autofertile innestata su franco (F), magaleppo (SL), Colt® (C), MA x MA Delbard® 14 e Gisela 5 (MM).

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Scelta del portinnesto
Numerose istituzioni sperimentali pubbliche e private si sono adoperate nella creazione di nuovi portinnesti per il ciliegio ricorrendo spesso all’ibridazione interspecifica.
Gli obiettivi perseguiti dai diversi programmi di miglioramento sono :
– la riduzione della mole delle piante;
– l’anticipo dell’inizio della produzione;
– il miglioramento della produttività e dell’efficienza produttiva;
– l’adattabilità ai vari tipi di terreno;
– una buona affinità di innesto.
Pur con l’introduzione sperimentale di numerosi nuovi soggetti, sono ancora pochi i portinnesti "nuovi" che vengono utilizzati commercialmente. Tuttora i tradizionali "franco" e "magaleppo" sono i più diffusi ma, è auspicabile uno sforzo congiunto (istituzioni, vivaisti, produttori) per individuare, fra gli ibridi interspecifici, quelli che meglio possono adattarsi alle condizioni delle tradizionali aree cerasicole.
Portinnesti tradizionali
Franco (P. avium): adatto a terreni profondi, freschi, anche un po’ pesanti; sensibile alla siccità, tollera il calcare ed una moderata asfissia; poco adatto al ristoppio. Di forte vigore e lenta entrata in produzione, viene impiegato dove non è consentito l’uso del "magaleppo". La selezione di franco Mazzard F12/1 è stata oramai abbandonata per l’elevata vigoria, l’insoddisfacente produttività e qualità dei frutti.
Magaleppo (P. mahaleb): adatto ai terreni sciolti, leggeri, ciottolosi, calcarei purché ben drenati; molto sensibile all’asfissia radicale, ad "A.tumefanciens" e molte fitopatie radicali. L’apparato radicale è fittonante con ottimo ancoraggio e scarsa attività pollonifera. La vigoria è inferiore al franco, ma varia in relazione all’origine dei semi; anche l’efficienza produttiva e la produttività sono superiori al Franco.
SL 64 (selezione clonale di P. mahaleb): è senza dubbio da preferire al magaleppo da seme del quale mantiene tutte le caratteristiche positive con una vigoria del 20% circa inferiore al franco e piante uniformi. Si moltiplica in vitro o per talea; ha un’ottima affinità con tutte le varietà e una precoce entrata in produzione. Idoneo per terreni affetti da "stanchezza" (ristoppio). Non adatto ai terreni asfittici e pesanti.
Colt® (P. avium x P. pseudocerasus): selezione clonale ottenuta a East Malling, primo fra i portinnesti interspecifici ad essere diffuso, non ha risposto che in parte al controllo della vigoria del ciliegio. Pur con apparato radicale superficiale, presenta un buon ancoraggio, resistenza al calcare ed all’asfissia radicale, tollera la "Phytophthora" ed ha elevata resistenza alla stanchezza. È poco resistente agli stress idrici e all’ "A.tumefaciens". Anticipa l’entrata in produzione ed ha una migliore efficienza produttiva del franco; la vigoria è inferiore del 10-15%, ma in terreni profondi e fertili a volte lo supera.
Portinnesti clonali propagati in vitro in sperimentazione.
CAB 6P (P. cerasus): selezione clonale di ciliegio acido che induce un vigore inferiore del 20% circa rispetto al franco. Adatto a vari tipi di terreno, anche pesanti, ha attitudini pollonifere e ancoraggio moderato. Selezionato per la miglior produttività rispetto al Franco ed al Colt®, non sembra poter rispondere agli obiettivi perseguiti.
CAMIL® GM 79 <> (selezione clonale di P. canescens): induce vigoria simile al precedente ma con alberi meno compatti e di più facile raccolta; l’entrata in produzione è precoce, la fertilità elevata così come la produttività e l’efficienza produttiva. La resistenza al calcare e alla stanchezza del terreno sono buone mentre è scarsa quella all’asfissia radicale; è molto sensibile all’A.tumefaciens, al Verticillium e alla Phytophthora.
TABEL® Edabriz* <> (selezione clonale di P. cerasus): induce una vigoria inferiore all’F12/1 di circa il 50%; ha un ottimo ancoraggio, buona adattabilità anche ai terreni pesanti, calcarei, mentre risulta sensibile alla siccità ed alla Phytophthora. La compatibilità è risultata buona con le varietà saggiate e non ha attività pollonifere. L’entrata in produzione è molto precoce e l’indice di produttività elevato. E’ particolarmente adatto per ridurre le distanze nei terreni molto fertili.
MAxMA DERBARD® 14 Brokforest <>* (P. mahaleb x P. avium): selezionato da Lyle Brooks del McGill Nursery in Oregon e diffuso in Europa da Delbard. Caratterizzato da buona affinità di innesto, scarsa attività pollonifera e grande adattabilità alle varie condizioni pedoclimatiche, il MAxMA14 è resistente anche al cancro batterico, alla clorosi ferrica, ed è quello che induce minor vigore, circa 2/3 rispetto al franco, e la più precoce entrata in produzione.
MA x MA DELBARD® 97 Brokgrove*<>: stesse caratteristiche del precedente ma vigore intermedio fra i due: grande rusticità, buona affinità, precoce entrata in produzione, scarsa attività pollonifera.
Altri portinnesti (Serie Giessen - Serie Ahrensburg - Serie Weihroot - ecc. ) non sono moltiplicati in Italia e la loro introduzione nei campi sperimentali è troppo recente per valutarne la possibile validità. Tra questi ricordiamo:
WEIHROOT® 158 (P. cerasus x P. avium)<>; ottenuto all’Università di Monaco (Germania), interessante per l’intensificazione degli impianti di ciliegio, indicato per terreni anche con scarsa disponibilità idrica e valutato tollerante all’asfissia radicale ed al calcare attivo.
GISELA 5 (P. cerasus x P. canescens)<>; anch’esso di origine tedesca, ottenuto presso l’Università "Iustus Liebig" a Giessen; portinnesto di medio vigore che conferisce precoce entrata in produzione ed elevata produttività ed efficienza, oltre alla buona dimensione dei fruttti. Consigliato per terreni fertili ed irrigui anche se si adatta a condizioni pedologiche diverse.
<> Alcuni portinnesti indicati sono brevettati, e moltiplicati dagli aventi diritto.

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Concimazione
Nella fase di allevamento l’elemento più importante è l’azoto. Pur nella diversità degli ambienti pedoclimatici, per favorire una rapida costituzione dello scheletro, occorre un apporto di 50-100 Kg/ha di azoto puro preferendo le dosi più basse nei primi anni, sospendendo la concimazione azotata se il vigore degli alberi è eccessivo.
La distribuzione va fatta in due volte, inizio e fine primavera, nei terreni di medio impasto e non irrigati; in tre volte, la terza a fine luglio, nei terreni sciolti ed irrigui. Dal 3°-4° anno, specie nei terreni sciolti, si deve apportare anche potassio in quantità crescente da 50 a 100 Kg/ha e, qualora il terreno non ne sia abbastanza fornito o la concimazione d’impianto sia insufficiente, anche 40-70 Kg/ha di fosforo ad anni alterni da interrare o, meglio, ricoprire con residui organici in autunno.
Durante la fase di produzione l’azoto va distribuito in due volte, a fine inverno e dopo la raccolta, in quantità variabile in base al vigore delle piante ed alla produzione (si evita la seconda se è molto scarsa) da 50 a 80 Kg/ha. Nei terreni non irrigati di collina si può fare una sola distribuzione in febbraio preferendo l’urea per l’azione più prolungata.
Importante la concimazione potassica per la qualità dei frutti, da eseguirsi annualmente in autunno con 80-200 Kg/ha di K2O a seconda della produzione precedentemente avuta.
Per il fosforo dovrebbe essere sufficiente un apporto autunnale ad anni alterni di 50 - 100 Kg/ha di P2O5.
Come sempre, debbono essere le analisi periodiche fatte al terreno ad indicare le quantità di macroelementi da distribuire, dando le dosi massime nei terreni più sciolti e irrigui, ed eventuali carenze di microelementi da correggere.

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Irrigazione
L’estrema variabilità degli ambienti di coltivazione del ciliegio e l’introduzione di nuovi portinnesti rende impossibile una indicazione sulle modalità e quantità di acqua da somministrare. Di certo gli impianti intensivi non possano prescindere da una regolare disponibilità di acqua, anche per un corretto assorbimento degli elementi nutritivi, richiesti in maggiore quantità, causa le più elevate produzioni unitarie. Importante è mantenere la piena attività vegetativa con alcune irrigazioni, almeno fino ad agosto, per avere una buona differenziazione e accrescere la fertilità dei fiori.

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Gestione del suolo
Le radici del ciliegio, in genere, hanno tendenza a svilupparsi in superficie, pertanto si debbono evitare le lavorazioni del terreno anche per la sensibilità della pianta alle ferite. Nei giovani impianti si può ricorrere al diserbo lungo i filari, come visto per l’albicocco, o a lavorazioni molto superficiali; in seguito, è comunque preferibile l’inerbimento parziale o totale, controllato con sfalci periodici per i numerosi vantaggi che presenta: aumento del contenuto di sostanza organica, miglior assorbimento fosfo-potassico, viabilità più agevole, miglior qualità dei frutti, ecc..

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Lotta ai parassiti
Il ciliegio non necessita di molti interventi, per il limitato numero di patogeni che possono aggredirlo in modo preoccupante e recare danni alla produzione.
Le malattie fungine da controllare sono due: il corineo e la monilia; fra i fitofagi le cocciniglie, l’afide nero e la mosca delle ciliegie.
Corineo: si evidenzia particolarmente in autunno ed in primavera con le foglie bucherellate; è molto temibile per il defogliamento precoce e pertanto la difesa va fatta ogni anno fin dall’inizio.
Monilia: colpisce con andamenti differenziati a seconda della stagione durante la fioritura e l’allegagione dei frutti ed in prossimità della maturazione. Molte delle nuove varietà mostrano maggiore sensibilità.
La difesa deve essere particolarmente attenta nelle zone di pianura, negli impianti intensivi, in presenza di eccessiva vigoria, con piogge prolungate o irrigazioni abbondanti soprachioma.
Cocciniglie: la "C.di S.Josè" è la più temibile; occorre fare attenzione a non riscontrarla nelle piante provenienti dai vivai. È indispensabile eseguire la difesa ogni anno con Solbar S all’ingrossamento delle gemme o methidathion se prevale la "C.bianca"; contro questa, in caso di gravi attacchi durante l’estate, ripetere uno o due trattamenti a fine agosto con la comparsa delle neanidi.
Afide nero: è diffuso in tutte le zone di coltivazione del ciliegio; arreca gravi danni anche ai giovani impianti limitandone l’accrescimento e ritardando l’inizio della produzione; la difesa deve iniziare subito dopo la caduta dei petali fino alla invaiatura rispettando i tempi di carenza.